di Caterina Mangia

Da Google ad Amazon, da Deliveroo a Foodora, passando per Facebook, Airbnb e Justeat, le piattaforme digitali sono progressivamente ma inesorabilmente entrate nel quotidiano degli italiani, condizionandone le abitudini e influenzando il mercato occupazionale del Paese.
Questo il tema al centro della conferenza internazionale “Il lavoro e l’impresa nell’economia delle piattaforme”, organizzata da Inapp ieri e oggi a Roma: un’occasione per riflettere sull’impatto della digitalizzazione sul mercato occupazionale. Secondo un’analisi contenuta nel Policy Brief di Inapp, chi “sopravvive” all’imperante tecnologizzazione sono quei lavoratori che svolgono mansioni meno ripetitive: secondo i dati raccolti per lo studio, dal 2011 al 2016 si registra «una correlazione negativa tra intensità relativa di mansioni routinarie e dinamica dell’occupazione». Largo alla creatività, dunque, per non lasciarsi sostituire da un macchinari o algoritmi.
Un ulteriore studio del Policy Brief si concentra in modo specifico sulle dinamiche economiche e occupazionali delle principali piattaforme digitali in Italia, sottolineando che sono «caratterizzate da una relativamente bassa intensità occupazionale» a fronte della massiccia crescita in termini di ricavi: in particolare, Google e Facebook, offrendo perlopiù servizi immateriali, generano «posti di lavoro circoscritti a profili manageriali e tecnici», così come le piattaforme immobiliari e di intermediazione; le piattaforme di lavoro tendono invece a «esternalizzare gran parte della mansioni», non sottoscrivendo con i collaboratori contratti di lavoro dipendente. In questo quadro Amazon, che ha 1.169 dipendenti dichiarati nel 2016, ha il maggior numero di occupati «a causa dell’importante rete logistica di raccolta e smistamento beni»: il colosso dell’e-commerce ha anche un primato nel grado di volatilità occupazionale interna, dovuta anche alla fortissima presenza di contratti di lavoro in somministrazione, che si assesta intorno al 90%.