di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Dopo la schiacciante vittoria del Centrodestra a guida Lega in Friuli Venezia Giulia, che segue di una settimana quella avvenuta in Molise, non si può certo dire che non sia chiara la volontà della maggioranza del popolo italiano. Altrettanto emblematico l’arretramento del Movimento 5 Stelle rispetto all’exploit del 4 marzo. A seguito delle ultime politiche sono accadute molte cose importanti, anche se le consultazioni finora non hanno portato alla creazione di un nuovo governo. La forte ed inequivocabile richiesta di cambiamento espressa dagli elettori nelle urne. L’iniziale avvicinamento fra Salvini e Di Maio e la designazione delle alte cariche parlamentari con una perfetta quanto inaspettata manovra a tenaglia conclusasi con l’elezione di Fico e Casellati. Poi l’impasse insormontabile creata dal veto nei confronti del  leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, giudicato inammissibile alle trattative per la formazione del Governo da parte dei grillini, fino a quel momento fedeli alla linea della più ferrea intransigenza. Infine l’incredibile dietrofront degli stessi 5 stelle che, dopo anni di scontri durissimi, tentano un’intesa col Pd, senza in questo caso porre alcun veto nei confronti dei personaggi più discussi del partito, da Boschi a De Luca solo per citarne alcuni, provando a realizzare quello che definiscono un contratto di governo «di cambiamento» proprio con coloro che hanno rappresentato in questi anni l’establishment – nelle politiche economiche e fiscali, nell’approccio alla questione lavorativa e sociale, nella gestione dei flussi migratori, nel ruolo dell’Italia nel contesto internazionale –  e contro il quale gli italiani chiedono un cambio di rotta. Un dialogo tra 5 stelle e Pd al momento arenatosi per volontà degli stessi dem e del loro leader in pectore, Matteo Renzi. L’elemento forse più significativo dell’intera vicenda sembra essere il tanto rapido quanto profondo mutamento politico dei 5 stelle, riciclatisi da espressione della protesta antisistema in portavoce della moderazione conservatrice. Una trasformazione – sintetizzata anche negli sbianchettamenti alle parti più significative e rivoluzionarie del programma elettorale con il quale avevano conquistato gli elettori il 4 marzo – che non è affatto passata inosservata e che si è tradotta in un considerevole arretramento alle elezioni regionali. In sintesi: gli italiani vogliono il cambiamento e se i partiti che si sono fatti portabandiera  di tale istanza tradiscono gli impegni presi non sono certo i cittadini a cambiare idea, ma i partiti, alla prima occasione utile, a farne le spese. Prova di ciò la sempre maggiore crescita della Lega che non ha virato di un passo rispetto alle idee ed ai programmi con i quali aveva chiesto fiducia agli italiani in campagna elettorale e che sta raccogliendo i frutti della propria coerenza.