di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

A seguito della vertenza Foodora, si sta aprendo finalmente un dibattito in merito alla necessità di adeguare la legislazione sul lavoro alla presenza sempre più diffusa della Gig Economy. In questo nuovo tipo di attività lavorativa, infatti, non esiste un fornitore unico di beni o servizi, ma due: colui che materialmente svolge l’attività e colui che offre i servizi di intermediazione, ossia la piattaforma digitale. Ciò crea un problema giuridico: come va inquadrato e tutelato colui che svolge un lavoro saltuario facendo riferimento ad una piattaforma online? Si tratta di lavoro dipendente o indipendente? Il lavoratore che aderisce ad una piattaforma da un lato non ha supporti materiali, dall’altro deve sottostare a delle regole stabilite dal gestore della piattaforma stessa. Se aderire ad un sito di intermediazione significa dover sottostare a regole tassative in merito ai costi delle prestazioni, alla reperibilità oraria, alle modalità di esecuzione dei servizi offerti, non si può parlare di lavoro autonomo, ma di lavoro dipendente essendo presenti le tipiche caratteristiche indicate dalla legge, ossia il presupposto dell’assoggettamento del prestatore di lavoro nei confronti del datore di lavoro, assoggettamento identificabile nella possibilità da parte del datore di lavoro di poter determinare modalità e tempi di esecuzione della prestazione lavorativa. Se, invece, la piattaforma offre visibilità e chiede una percentuale per la pubblicità ed il rispetto di basilari regole di correttezza, ma lascia discrezionalità ai lavoratori in merito a tempi, modi e costi della prestazione offerta, allora il lavoratore può essere considerato autonomo. Ma nella gig economy il confine è molto labile. Da qui il dilemma. Ieri ne ha parlato Tiziano Treu, presidente del Cnel ed illustre giuslavorista, su La Repubblica ricordando che, per ovviare a questa problematica in Gran Bretagna hanno creato una nuova figura giuridica ad hoc, il worker, né dipendente (employee) né autonomo (employer), con una serie di tutele fra cui il salario minimo. Allo stesso modo il Francia non si è provveduto a decidere se tali lavoratori sono dipendenti o meno, però sono stati assicurati loro una serie di diritti che prima non avevano. Si tratta di una soluzione al ribasso? Occorre aprire un serio dibattito e poi colmare l’attuale vuoto giuridico italiano al fine di distinguere tra le imprese sane che offrono nuove possibilità di collaborazione e guadagno e le attività che lucrano sulla sotto occupazione. Districarsi all’interno di questo mondo, ancora in gran parte nuovo ed inesplorato, non è semplice, ma è un preciso dovere della classe dirigente trovare i termini giuridici attraverso i quali salvaguardare anche nella nuova economia digitale i diritti ed i doveri che sono a fondamento del nostro vivere civile e del nostro modello sociale.