di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Se si guardassero insieme i dati di Istat e Confesercenti si avrebbe davanti agli occhi un quadro a dir poco preoccupante. Tra i doveri di un sindacalista c’è anche quello di guardare lontano e non si può far finta di non vedere, come si può dedurre soprattutto dai dati Istat, ciò che è già davanti ai nostri occhi: a marzo il clima di fiducia diminuisce nel settore manifatturiero (da 110,4 a 109,1) e nei servizi (da 109,8 a 107,2) mentre rimane stabile nel commercio al  dettaglio (a quota 105,3). Ciò che è peggio è che nel comparto manifatturiero peggiorano tutte le componenti, mentre nel settore delle costruzioni, la crescita dell’indice è trainata anche questo mese dall’aumento delle aspettative sull’occupazione presso l’azienda, non dai giudizi sugli ordini che sono in diminuzione. Confesercenti ieri ci ha dato un’altra pessima notizia: dal 2007 al 2017 i lavoratori indipendenti sono diminuiti di 639mila unità (-11,1%), di cui oltre 100mila solo nell’ultimo anno. Ma non basta, perché commentando gli stessi dati Istat sulla fiducia delle imprese che vedono stabile il settore del commercio, Confesercenti sostiene che «nonostante il miglioramento costante della fiducia dei consumatori, in crescita anche a marzo, le vendite della distribuzione tradizionale sono state infatti più lente del previsto». «Per le imprese del commercio tradizionale, il calo di fiducia registrato dall’Istat a marzo è un vero crollo: l’indice perde oltre 4 punti, la riduzione più significativa tra le imprese, passando da 104 a 99,9, il livello minimo registrato dal settore negli ultimi tre anni».
Se le imprese piangono, di certo non possono ridere i lavoratori e soprattutto i disoccupati e quelli che, peggio ancora, stanno combattendo nelle tante crisi aziendali del nostro Paese. Nella società e nell’economia non esistono compartimenti stagni, tutto è collegato e un clima di fiducia delle imprese negative è un brutto segnale che si riverbera ovunque. D’altronde veniamo da anni di assoluta assenza di una vera politica industriale sostituita da quella miope dei bonus. Governi tecnici hanno preferito fare battaglie su riforme civili piuttosto che incidere con politiche mirate alla crescita e allo sviluppo. Una difficile eredità sulla quale il prossimo governo dovrà incidere per cambiare le prospettive di tutti.