di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

La Commissione Ue ha presentato la proposta di istituire un’Autorità Europea per il Lavoro, ossia un’agenzia specializzata sul tema occupazionale ed in particolare sulla mobilità lavorativa all’interno dell’Unione. Il nome c’è già, Ela, e se dovesse essere approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio potrebbe diventare operativa dal 2019. Dovrebbe essere inizialmente ubicata a Bruxelles per poi trasferirsi in un altro Stato membro. Si possono immaginare le conseguenti gare fra Stati per accaparrarsi la nuova sede e quindi il relativo indotto economico sul modello, recentemente salito agli onori delle cronache, dell’Ema, l’Agenzia del Farmaco. Ma la novità sta nel fatto che Bruxelles sta comprendendo l’importanza di cambiare passo sul tema del lavoro. L’agenzia dovrebbe infatti aiutare i cittadini europei, lavoratori dipendenti, autonomi e imprese, ma anche le amministrazioni nazionali a conoscere meglio e quindi meglio usufruire della mobilità lavorativa all’interno dell’Unione. Innanzitutto condividendo i posti di lavoro disponibili, compresi apprendistati, programmi di mobilità e corsi di formazione. In secondo luogo facendo conoscere diritti e obblighi nel caso in cui si operi in un altro Stato della Ue, situazione che riguarda attualmente 17 milioni di europei, onde evitare applicazioni erronee o fraudolente delle norme e tentativi di dumping sociale interno. Altro compito, poi, quello di supportare la cooperazione fra i Paesi membri ed agevolare la risoluzione di controversie transfrontaliere. Ad esempio nei casi di ristrutturazioni aziendali quando siano coinvolti più Stati appartenenti all’Ue, come recentemente avvenuto con la vertenza Embraco. La Commissione, oltre alla proposta Ela, ha anche presentato un’iniziativa sulla protezione sociale dei lavoratori dipendenti e autonomi, con l’intenzione di assicurare una maggiore uniformità – in un contesto di profonde differenze fra Stati europei – in merito alle aree essenziali che dovrebbero essere coperte da qualche forma di assicurazione obbligatoria, ossia disoccupazione, malattia e incidenti, maternità e paternità, invalidità, pensione. L’obiettivo è quello di colmare i divari di copertura assicurativa e facilitare il trasferimento dei contributi da uno schema all’altro al fine di garantire anche gli atipici, attualmente corrispondenti al 40% dei lavoratori nell’Unione, secondo stime di Bruxelles. Entrambe le proposte, volte ad un rafforzamento del pilastro europeo dei diritti sociali, mostrano un’Europa che finalmente sembra essersi accorta dell’impatto sui cittadini della gravissima crisi economica ed occupazionale, tentando, in modo francamente tardivo, di recuperare terreno verso i sempre più diffusi sentimenti antieuropeisti, nei confronti di un’Unione finora interessata quasi esclusivamente al rigore dei conti a scapito dei diritti sociali.