di Caterina Mangia

La salute? Non è soltanto un “dono divino”, ma è strettamente legata alle condizioni socioeconomiche.
La conferma arriva da uno spietato ritratto effettuato dall’Osservatorio Nazionale della Salute nelle Regioni italiane: come in tanti altri campi e settori, l’Italia è divisa in due tra Nord e Sud da un divario che riguarda anche le aspettative di vita.
Dati alla mano, un cittadino di Caserta o Napoli, città che registrano una speranza di vita di due anni al di sotto della media italiana, vivono generalmente tre anni in meno rispetto a un abitante di Firenze, capoluogo che invece registra un’aspettativa record, di 1,3 anni superiore al trend nazionale. Le differenze non sono soltanto regionali, ma riguardano anche il livello di istruzione: mentre chi ha un basso titolo di studio può pensare di vivere 77 anni, un laureato può ragionevolmente credere di arrivare agli 82. Per quanto riguarda le donne, le meno istruite hanno un’aspettativa di 83 anni, chi ha finito l’università di 86.
Dallo studio, dunque, emerge un allarme che suona come una denuncia: le cattive condizioni lavorative, retributive e salariali, spesso collegate a chi ha un basso grado di istruzione o a chi vive nelle regioni del Sud, sul lungo termine incidono sulla salute e tolgono alle persone il più grande dei diritti, accorciando la loro stessa vita. Si tratta, forse, della più grande delle iniquità sociali a cui si possa pensare.
La città più “longeve” nel nostro Paese sono, come già ricordato, Firenze, con a seguire Monza e Treviso, dove si può sperare di vivere un anno in più rispetto alla media. Tra quelle con meno speranza, Caserta e Napoli a cui succedono Caltanissetta e Siracusa, rispettivamente con 1,6 e 1,4 anni in meno in confronto con il trend italiano.
Ad ogni modo, a pesare sulla durata della nostra esistenza non sono soltanto stili di vita e abitudini lavorative, ma anche l’accesso ai servizi di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie, ambito in cui l’Italia è, per l’ennesima volta, spaccata in due: prendendo in considerazione la fascia di popolazione tra i 45 e i 64 anni, il 69% delle persone con una bassa istruzione ha dovuto rinunciare alle prestazioni sanitarie per motivi economici, a fronte del 34% dei laureati.
Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio, ha considerato che  «il Servizio sanitario nazionale nasce con l’obiettivo di superare gli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese», aggiungendo che tuttavia «su questo fronte i dati testimoniano il sostanziale fallimento delle politiche».
Sono infatti «troppe e troppo marcate», a suo parere, «le differenze regionali e sociali, sia per quanto riguarda l’aspettativa di vita sia per la presenza di malattie croniche».