E poi scoprirà che è un semplice effetto statistico, che gli italiani non stanno così tanto meglio rispetto agli scorsi anni e che, quindi, ogni esultanza rischia di essere fuori luogo ed anticipata, un po’ come capita oggi nel calcio con la Var sempre pronta a strozzare il grido di gioia in gola. I numeri resi noti oggi dall’Istat sono positivi, ma di quel positivo che ricorda l’ammalato la cui febbre scende da 38 a 37,9, un lieve tenue miglioramento che non può far perdere di vista che il Paese è ancora, a tutti gli effetti, ammalato, se è vero, come è vero, che il tasso di disoccupazione è sopra gli undici punti percentuali e le persone in povertà assoluta sono raddoppiate in meno di dieci anni. Ed allora, il leggero calo dell’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è più il frutto del sacrificio degli italiani che, piuttosto, il risultato di una ragionata riduzione della spesa pubblica, cosa che è sovente mancata in questi anni, così come è mancata una vera responsabilizzazione dei diversi livelli di governo, a causa anche della mancata attuazione di un efficiente e solidale federalismo fiscale. La pressione fiscale scenderà pure dello 0,4%, ma rimane saldamente sopra al 40%, senza dimenticare un particolare di non poco conto, anzi: la pressione reale su chi paga le tasse con regolarità e alla fonte, ad iniziare dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, è ben più alta, poiché continua a pesare l’enorme sommerso che attanaglia l’economia nostrana. Bene la crescita del reddito disponibile delle famiglie, ma pure in questo caso non sono tutte rose e fiori. Intanto per l’ammontare della crescita e poi perché la propensione al risparmio aumenta più del doppio rispetto ai consumi. Il risparmio è un valore, peraltro, garantito dalla Costituzione, però la tendenza in atto conferma che le famiglie hanno ancora paura. Risparmiano e non investono perché non sanno cosa succederà domani e la loro preoccupazione non è relativa al risultato elettorale o al governo che verrà; è la paura di perdere il posto di lavoro e di non trovare una nuova occupazione, così come evidenziato anche da questo giornale nei giorni scorsi. Del resto, anche le imprese non sono poi così ottimiste e fiduciose, visto che gli investimenti fissi lordi, benché in crescita, sono ancora inferiori di almeno un paio di miliardi di euro rispetto al periodo pre-crisi. Insomma, il malato sta un po’ meglio, ma ancora non è sicuramente guarito.