Difficile pensare che potrà esserci una inversione di tendenza, però almeno è un segnale verso una maggiore parità, obiettivo peraltro molto lontano da conseguire. Parliamo della novità relativa al cosiddetto congedo di paternità, introdotto dalla legge 92/2012 e successivamente rifinanziato con la legge 232/2016. Dallo scorso 1° gennaio e per tutto il 2018, il congedo di paternità, che è obbligatorio, raddoppia, passando da due a quattro giorni di lavoro, da fruire, anche in maniera non continuativa, entro il quinto mese di vita del bambino o, nel caso di adozione o affidamento, entro il quinto mese dall’ingresso del bambino in famiglia. In aggiunta, il padre, compreso quello adottivo o affidatario, può altresì fruire di un congedo facoltativo di una giornata, non essendo stata prorogata la disposizione che prevedeva due giorni, che è però alternativo al congedo di maternità, per cui si scala dai giorni a disposizione della madre. Questa la norma e per tutta la pratica ci si può rivolgere ai patronati o all’Inps. È evidente, però, che quattro o due giorni non cambiano di troppo la realtà. L’occupazione femminile continua ad essere molto complessa. Sono quasi 1,4 milioni le disoccupate, con un tasso di disoccupazione di due punti percentuali superiore agli uomini, differenza che sale ad oltre quattro percentuali nel Mezzogiorno. Il vero abisso si segna, comunque, sul tasso di occupazione, inferiore per le donne di quasi venti punti percentuali, più del 25% nel Sud e nelle Isole, con tutto quello che ne consegue in termini di reddito presente e futuro. Del resto, l’incidenza della povertà è maggiore nelle donne.