di Caterina Mangia
Patrimonio dell’umanità. Forse non c’è miglior definizione per l’arte e il mestiere del pizzaiolo napoletano, che, dopo essere stato descritto innumerevoli volte dal 1700 ad oggi, adesso è non più solo metaforicamente, ma de facto “bene immateriale del patrimonio dell’umanità Unesco”.
E’ arrivata, infatti, la notizia del via libera unanime che il Comitato di Governo Unesco, riunito a Jeju, in Corea del Sud, ha dato all’inserimento del mestiere nella lista dei patrimoni culturali immateriali del genere umano: «il know-how culinario legato alla produzione della pizza» – si legge nella decisione finale -, è legato a un’«atmosfera conviviale» in cui i pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un «rito sociale»: «Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale».
Insomma, non soltanto un lavoro i cui esiti gastronomici sono apprezzati su scala planetaria, ma un modo di essere e di vivere, un savoir faire che emerge da una spessa e radicata tradizione e che funge da “collante” sociale riunendo alla stessa mensa un’umanità varia, fatta di ricchi e poveri, deboli e potenti, come dimostra l’usanza della “pizza sospesa”, ovvero offerta a chi non può permettersela. Tante, oggi, le “pizze sospese” in una Napoli scesa in strada per celebrare il riconoscimento: centro dei festeggiamenti l’Antica Pizzeria Brandi, dove leggenda vuole che il cuoco Raffaele Esposito ricevesse l’incarico di preparare quella che sarebbe diventata la prima “pizza margherita” dedicata alla Regina d’Italia.
Si narra che il celebre filosofo viennese Ludwig Wittgenstein, reduce dalla scrittura del suo Tractatus logico Philosoficus, il cui fine era quello di porre le basi per la “costruzione” di un linguaggio logicamente perfetto, fosse messo in crisi da un uomo che in treno gli chiese di definire “un gesto tipico napoletano”. Di fronte a quella richiesta, la cui risposta era sostanzialmente ineffabile, intraducibile in termini logici, Wittgenstein mise in discussione l’intero impianto della sua filosofia del linguaggio. E’ in questo ineffabile, misterioso e prezioso savoir faire che trova voce ed espressione un intero territorio: è l’inesprimibile e inestimabile valore di questa tradizione che oggi è stato premiato.