Ci stanno rubando il futuro e, la cosa ancora più grave, è che il furto è fatto con destrezza, quasi volendoci convincere che tutto ciò sta accadendo per il bene dei lavoratori. Mese dopo mese, i contratti a tempo determinato, quelli con scadenza ben evidenziata, segnano nuovi record. L’ultimo è di oggi: secondo l’Istat sono 2,8 milioni, il massimo mai raggiunto dal 1992, da quando l’istituto di statistica rileva l’andamento del mercato del lavoro. In un anno, i contratti a termine sono cresciuti dal 13,4%, a fronte di una sostanziale stabilità dei contratti a tempo indeterminato, i quali, nonostante la ripresa del prodotto interno lordo, aumentano di appena lo 0,4%. Tutto ciò è il frutto amaro delle modifiche normative introdotte prima con la riforma Fornero del giugno del 2012 e, successivamente, con il Jobs act. In entrambi i casi, l’obiettivo dichiarato, quello di spingere le imprese ad assumere personale con il contratto a tempo indeterminato, è fatalmente smentito dalla realtà quotidiana. Se la riforma Fornero si limita ad introdurre un disincentivo fiscale sui contratti a termine, che, alla prova dei fatti, non ha scoraggiato le imprese, il provvedimento renziano va più a fondo, liberalizzando i contratti a termine poiché permette di bypassare il vincolo dei trentasei mesi, decorsi i quali il contratto si intende a tempo indeterminato. Il grimaldello che permette il furto ai danni dei lavoratori è nella formula che limita il conteggio alle sole mansioni di pari livello e categoria legale, mentre prima del 2015 si consideravano tutti i periodi, a prescindere dalla mansione svolta. Ciò vuol dire che, paradossalmente, lo stesso lavoratore potrebbe vedersi presentare dalla medesima azienda tanti contratti a tempo determinato per quanti sono i livelli riconosciuti nel contratto collettivo nazionale di lavoro. Ben oltre i trentasei mesi previsti, quindi. Si tratta di una pesantissima ipoteca sul futuro del singolo lavoratore e delle famiglie, poiché si preclude ogni possibilità di programmare il proprio destino e quello dei propri figli. Un mutuo, gli studi, le cure sanitarie, tutto diventa tremendamente complicato senza un reddito fisso – alto o basso che sia, ma questa è un’altra partita – che può derivare soltanto da un contratto a tempo indeterminato.