Per qualcuno e non per tutti. Entra il vigore oggi il reddito d’inclusione, Rei in sigla, la nuova prestazione rivolta alle persone in condizione di povertà. Si tratta di uno strumento di ultima istanza, da non confondersi con altri che fanno riferimento al cosiddetto reddito di cittadinanza, che mutua precedenti iniziative, ad iniziare dal Sia, adottati in passato da governi di diverso schieramento politico. Il limite è nelle risorse ridotte. Seppur cresciute, le economie stanziate serviranno soltanto per coprire una parte della vasta platea delle persone in condizione di indigenza. Gli effetti della crisi economica sulla povertà sono noti ed evidenti. Meno conosciuti sono i numeri che oggi evidenziano un raddoppio delle persone in povertà assoluta, da circa tre milioni ad oltre sette milioni. Ancora più ampia è la platea degli individui a rischio. Sono diciassette milioni coloro che, per una spesa imprevista, possono scivolare al di sotto della soglia di povertà. In un tale contesto, il Rei è un palliativo; non è destinato a cambiare il corso dell’esistenza, ma è almeno un timido segnale. Accanto al riconoscimento di una indennità massima di 485 euro al mese, è previsto, ed è questa una novità, l’avvio di un percorso personalizzato che dovrebbero portare la persona ad essere rioccupata, sul modello di quanto avviene con i disoccupati in Naspi. Il problema, però, è sempre lo stesso: i centri per l’impiego non sono in condizione di assicurare questo tipo di servizio in maniera efficace su tutto il territorio nazionale.