di Francesco Paolo Capone
Segretario Generale Ugl

Si narra che Penelope, per evitare di convolare a nuove nozze, nella fiduciosa attesa del ritorno del suo sposo Ulisse, di notte distruggesse il lavoro fatto il giorno. Non sappiamo se qualche novella Penelope nel Palazzo o, piuttosto, qualche Odisseo disperso fra i mari d’Europa, gioca allo stesso gioco, ma il dato di fatto è che la legge di bilancio somiglia ancora troppo ad un cantiere aperto. Tutto ciò, mentre passano i giorni e le settimane. Quella che una volta si chiamava legge finanziaria è stata approvata dal governo il 16 ottobre, ma è stata annunciata in aula al Senato soltanto il 31 seguente, con le audizioni delle Parti sociali che si sono svolte in tutta fretta il 6 novembre successivo, perché si paventava un iter accelerato che avrebbe dovuto portare ad una rapida approvazione del testo. Ed invece è iniziato un gioco al rinvio che lascia perplessi. Prima i vertici con Cgil, Cisl e Uil sulle pensioni, apparsi, da subito, poco fruttuosi ed inconcludenti, se è vero, come è vero, che la soluzione adottata – l’allargamento della platea delle categorie dei lavori faticosi, cui non si applicherà l’innalzamento dell’età pensionabile – è assolutamente parziale, avendo peraltro un costo irrisorio in termini di risorse stanziate, pari allo 0,1 percento del prodotto interno lordo in quasi un decennio. Poi il tira e molla con Bruxelles su presunti scostamenti di qualche decimale sul deficit e sul debito, cosa che lascia presagire nuovi strali dalla Commissione europea nei prossimi mesi. Nel mezzo, i desiderata dell’azionista di maggioranza dell’esecutivo, il segretario del Partito democratico, Matteo Renzi, che annuncia l’estensione del bonus degli 80 euro alle famiglie con figli, non spiegandoci perché non lo ha fatto quando risiedeva a Palazzo Chigi. In un tale scenario, il Senato ha cercato di lavorare, ha approvato qualche emendamento, ha discusso, ha fatto proposte, anche se l’impressione che se ne ricava è quella di una sorta di democrazia sospesa, perché tutto quanto fatto finora potrebbe essere cancellato con un colpo di spugna, con la scusa dei tempi ridotti per l’approvazione, entro il 31 dicembre per evitare l’esercizio provvisorio. Del resto, è ormai qualche anno che il Parlamento e, di riflesso, i cittadini subiscono questo stato di fatto: governi non direttamente votati dagli elettori (è vero che la nostra non è un premierato, ma una repubblica parlamentare, però l’indicazione del candidato alla Presidenza del Consiglio dei ministri è esplicita da oltre un ventennio); parlamentari distanti e distinti dal territorio; misure di sollievo per i nuclei familiari di lavoratori dipendenti e pensionati annunciate e poi inattuate; imposizioni draconiane che si traducono in riforme mal pensate e mal gestite che producono più danni che benefici. Verranno tempi migliori. Almeno, si spera.