Per un partita che si è chiusa senza risultati apprezzabili, quella delle pensioni, la seconda, quella sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, non si è di fatto neanche veramente aperta. Come noto, la norma che tutela i lavoratori dai licenziamenti illegittimi è stata profondamente modificata dal Jobs act che ha introdotto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Tale tipologia contrattuale si applica a tutti i lavoratori neo assunti, vale a dire a tutti coloro che sono assunti per la prima volta da una determinata azienda e non, come erroneamente si è portati a pensare, soltanto a coloro che si affacciano per la prima volta nel mercato del lavoro. Ciò vuol dire che in un periodo neanche troppo ampio tutti i lavoratori saranno assoggettati alla nuova normativa, anche quelli già in servizio, in quanto è sufficiente per il datore di lavoro cambiare la ragione sociale, come accade sovente nel commercio, nei servizi e nel terziario in generale, ed il gioco è presto fatto. Contro questa ipotesi, si è mosso il sindacato, chi mobilitandosi sul territorio e nelle categorie, come la Ugl, chi, come la Cgil, sostenendo una iniziativa legislativa popolare con una raccolta di firme. Dal progetto di legge, Mdp ha poi estratto proprio la parte relativa alla reintroduzione dell’articolo 18 nella versione antecedente alla riforma Fornero del 2012. Arrivato in aula dopo un lungo confronto in Commissione Lavoro alla Camera, lo scenario è stato oggettivamente poco edificante, con l’aula pressoché deserta. Ora, a mettere la pietra tombale è il segretario del Partito democratico e padre del Jobs act, Matteo Renzi, che, durante il programma Porta a porta, ha annunciato che l’articolo 18 nella sua forma depotenziata non si tocca.