Siamo già a cinquanta ed ancora manca più di un mese e mezzo alla fine dell’anno. Si tratta del drammatico conteggio degli autisti dell’Atac, l’azienda del trasporto pubblico romano, picchiati in servizio. Una situazione non nuova, sulla quale l’amministrazione è anche intervenuta in passato, ma che oggi sta assumendo contorni ancora più preoccupanti, in quanto si è davanti ad una piaga che si sta estendendo a macchia d’olio. In passato, infatti, erano state individuate e circoscritte delle situazioni critiche con riferimento all’orario, in particolare quello notturno, o al percorso del mezzo, da e verso le periferie, con la conseguenza che su alcune tratte sono entrati in servizio dei pullman dotati di videosorveglianza e di cabina protetta, mentre negli stazionamenti si rafforzata l’illuminazione. Analisi che, però, adesso vengono smentite dall’evidenza dei fatti: le aggressioni interessano pure le zone del centro città e si consuma a prescindere dall’ora. Al netto di alcuni episodi rientranti fra quelli catalogabili come espressione di maleducazione, fra le cause scatenanti rientra a pieno titolo la situazione in cui versa l’azienda. L’autista è, purtroppo per lui, visto a torto o a ragione come il colpevole di un ritardo o di un disservizio, mentre, nella realtà, è vittima lui stesso. Stando così le cose, si guarda con preoccupazione all’andamento del confronto fra il management e il sindacato. Dai tavoli di confronto aperti, non sembra emergere un atteggiamento costruttivo dei vertici aziendali, i quali non danno risposte alle tante osservazioni prodotte dagli stessi lavoratori per il bene di Atac, mentre il silenzio del Campidoglio comincia a diventare assordante.