A questo punto, la richiesta del sindacato di arrivare ad un piano industriale credibile per l’Ilva, che realizzi investimenti  e garantisca l’occupazione in tutti i siti italiani, acquista ancora più forza. All’indomani dell’incontro al Ministero dello sviluppo economico e della notizia che la Commissione europea ha acceso un faro sull’intera vicenda per verificare eventuali profili in contrasto con la normativa sulla concorrenza, arrivano i dati relativi alla performance del Gruppo ArcelorMittal. Il colosso siderurgico anglo-indiano nei primi nove mesi dell’anno ha registrato un utile netto attribuibile agli azionisti superiore a 3,5 miliardi di dollari, in netta crescita rispetto all’anno precedente, quando l’utile si è fermato a poco meno della pur ragguardevole cifra di quasi 1,4 miliardi di euro. Nel terzo trimestre, il profitto ha registrato un rialzo del 71,4%, superiore ad ogni aspettativa, mentre il fatturato è salito a 17,6 miliardi di dollari, con un più 21%. Per il numero uno operativo del Gruppo, Lakshmi Mittal, ciò è dovuto al recupero dei prezzi e al risveglio della domanda mondiale per l’acciaio. Ebbene, a fronte di ciò, in Italia la cordata guidata da ArcelorMittal non si è presentata bene, annunciando prima la volontà di intervenire sulle retribuzioni dei lavoratori e sul personale, salvo poi ritornare al tavolo di confronto, dopo la dura reazione delle organizzazioni sindacali e dello stesso ministro Carlo Calenda. Dalla riunione di ieri, però, non sono arrivate le risposte tanto attese. Sostanzialmente compatti, le Federazioni di categorie di Cgil, Cisl, Uil e Ugl hanno espresso la loro insoddisfazione sul piano industriale presentato. L’unica certezza al momento sembrerebbe essere quella della durata del piano, sei anni, ma non quale dovrà essere la sua evoluzione in termini di programmazione degli investimenti e di personale coinvolto.