Nel momento in cui si gioca a carte scoperte, il bluff si scopre facilmente. Parliamo dell’anticipo pensionistico, in particolare nella sua versione sociale (le altre sono l’Ape classica e l’Ape con il contributo aziendale), quella, almeno in teoria, più vantaggiosa per il beneficiario. Come si ricorderà, la misura è stata introdotta con l’ultima legge di bilancio, a fronte di una pressante richiesta del mondo sindacale e datoriale di ridare flessibilità al sistema pensionistico in uscita. La lenta gestazione dei decreti attuativi ha fatto slittare tutta l’operazione, alimentando nel contempo la forte attesa di migliaia di lavoratori e lavoratrici, ai quali la riforma Fornero ha allontanato il momento del pensionamento. I primi dati forniti dall’Inps nel corso di una audizione parlamentare sono devastanti. Su oltre 66mila domande presentate per l’Ape sociale, compresa la tipologia di lavoro precoce, ben 44.306 sono quelle rigettate dall’Istituto previdenziale. Nello specifico, il 64,9% delle domande di Ape sociale (25.895 in totale) e il 70,1% delle domande di anticipo pensionistico per lavoro precoce (18.411 in totale) è stato rispedito al mittente, con una buona pace di chi aveva sperato di poter lasciare finalmente il lavoro. Fa pensare il fatto che appena il 30% delle domande presentate per il tramite dei patronati, attraverso quindi un canale preparato ed informato, ha passato il vaglio della commissione istruttoria dell’Inps che ora promette, alla luce di nuove indicazioni pervenute dal Ministero, di riprendere in mano le domande rigettate. L’impressione è che, come per gli esodati, ancora una volta le esigenze di cassa siano state messe davanti alle giuste aspettative delle persone.