Mai fermarsi alla prima impressione. È la massima che si trae dalla lettura della messe di dati resi noti oggi dall’Inps, aggiornati all’agosto scorso. Negli ultimi dodici mesi, il saldo fra assunzioni e cessazioni dei rapporti di lavoro è positivo per 565mila unità, seppur in leggero calo rispetto al medesimo saldo del mese precedente (-21mila unità). Sarebbe un risultato eccellente, se non fosse che la larghissima parte di questi contratti è a tempo determinato (494mila unità) o stagionale (45mila unità); se ci aggiungiamo anche i contratti di apprendistato (53mila unità), solo formalmente a tempo indeterminato, visto che necessitano di conferma al termine dei tre anni previsti, i posti fissi rappresentano appena il 3% del totale (in tutto sono 17mila unità). Per inciso, è tutto da chiarire il futuro dei 3,654 milioni di lavoratori a cui il contratto è scaduto (+15,9%, rispetto all’anno precedente): una parte di loro sarà stata riassunta, ma molti rischiano di rimanere per lungo tempo senza lavoro, visto il forte impatto della disoccupazione di lunga durata. Il calo delle ore autorizzate di cassa integrazione rimane un indicatore parziale, se non confrontato con l’effettivo tiraggio. Si osserva, però, il crescente impatto della solidarietà, a dimostrazione di come sul dato complessivo incida la riforma normativa introdotta con il Jobs act. Così come la legge voluta da Renzi incide pesantemente sul versante licenziamenti. La crescita dei licenziamenti disciplinari conferma l’allarme lanciato a suo tempo: caduto il richiamo ai contratti collettivi, le aziende preferiscono addurre motivi disciplinari piuttosto che intraprendere la più onerosa e complessa procedura per i licenziamenti economici.