Nel 2015 abbiamo realizzato circa 208 miliardi di euro, pari al 12,6% del Pil, soldi interamente proveniente dall’economia sommersa. Una beffa se si pensa al governo a caccia di 5,1 miliardi di euro di maggiori entrate da portare in dote alla legge di bilancio.
Quante riforme potremmo fare con 208 miliardi di euro? Quanti ammortizzatori sociali e quanto welfare in più potremmo finanziare, quante tasse in meno potremmo pagare? Il fenomeno è noto e ben consolidato nel paese: non solo crimine e malaffare, ma soprattutto economia e lavoro nero.
Il rapporto Istat sull’economia “non osservata” spiega in dettaglio che il valore aggiunto generato dall’economia sommersa ammonta a poco più di 190 miliardi di euro, mentre quello connesso alle attività illegali (incluso l’indotto) a circa 17 miliardi di euro. Ciò significa che su 208 mld ne potremmo utilizzare ben 190, se il nostro sistema fiscale – e la relativa riscossione – fosse diverso da come è oggi e se invece di scoraggiare, incoraggiasse a uscire dal cono d’ombra.
Se poi si viene a sapere che l’incidenza della componente non osservata dell’economia sul Pil, che aveva registrato una tendenza all’aumento nel triennio 2012-2014 (quando era passata dal 12,7% al 13,1%), ha segnato nel 2015 una brusca diminuzione, scendendo di 0,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente, forse viene da pensare che la crisi è arrivata anche lì.
Ma entriamo nel dettaglio. Nel 2015 la quota relativa alla sotto-dichiarazione valeva il 44,9% del valore aggiunto (circa 2 punti percentuali in meno rispetto al 2014). Il resto è attribuibile per il 37,3% all’impiego di lavoro irregolare (35,6% nel 2014), per il 9,6% alle altre componenti (fitti in nero, mance e integrazione domanda-offerta) e per l’8,2% alle attività illegali (rispettivamente 8,6% e 8,0% l’anno precedente). I settori dove il sommerso ha un ruolo più evidente sono le ‘Altre attività dei servizi’ (33,1% nel 2015), il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (24,6%) e le Costruzioni (23,1%).Tutte attività che sfuggono alla tassazione.
Le dichiarazioni inferiori al dovuto hanno – sul complesso del valore aggiunto – un peso maggiore nei Servizi professionali (16,2% nel 2015), nel Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (12,8%) e nelle Costruzioni (12,3%). All’interno dell’industria, l’incidenza risulta relativamente elevata nel comparto della Produzione di beni alimentari e di consumo (7,7%) e contenuta in quello della Produzione di beni di investimento (2,3%).
La componente di valore aggiunto generata dall’impiego di lavoro irregolare è maggiore nel settore degli Altri servizi alle persone (23,6% nel 2015), dove è principalmente connessa al lavoro domestico, e nell’Agricoltura, silvicoltura e pesca (15,5%).