di Giovanni Magliaro

Sono decenni ormai che si discute della questione meridionale e di come si possa portare il nostro Sud (un terzo dell’Italia) al livello sociale ed economico del resto della nazione. Anche perché è ben noto a tutti come la questione meridionale non riguardi solo il Sud ma sia un problema – anzi diciamo IL PROBLEMA – di tutta l’Italia. Senza la ripresa del Mezzogiorno non ci potrà essere e non ci sarà mai la ripresa dell’Italia. Ma dopo decenni di belle parole e di pochi fattibisogna purtroppo constatare come negli ultimi anni non solo non ci sia stata una riduzione del divario tra il Sud e il Nord ma come questo divario vada aumentando sempre di più.
La solita CGIA di Mestre, attraverso il suo sollecito Ufficio Studi, è tornata puntualmente oggi sullaquestione ricordando che il gap economico di cui soffre il Meridione rispetto al resto d’Italia sta crescendo progressivamente. La percentuale di popolazione a rischio povertà nel Sud era al 42,7% nel 2015 e ora è passata al 46,4. In pratica quasi un meridionale su due si trova in gravi difficoltà economiche. In termini di PIL pro capite nel 2007 il gap era di 14.225 euro (nel Settentrione il valore medio era 32.680 e nel Mezzogiorno 18.426) orail differenziale medio è salito a 14.905 euro. Con le percentuali più negative in Molise, Campania e Sardegna.
Ogni anno la Svimez(l’Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno) fotografa la catastrofe delle regioni meridionali dove il pozzo sembra senza fondo. I numeri sono impietosi ma, a differenza dei blabla di vari personaggi che recitano le solite litanie, sono la rappresentazione fedele della realtà. Così abbiamo scoperto che dal Duemila al Duemilaquindici il Sud è cresciuto in termini economici la metà della Grecia (12% rispetto al 24%). Dal 2008 gli investimenti nella industria manifatturiera sono crollati quasi del sessanta per cento e se le esportazioni nel Nord sono aumentate del 3 per cento nel Sud sono precipitate del 5 per cento. E’ una caduta verticale dell’economia in tutti i settorie nei consumi. C’è uno spaventoso arretramento del reddito disponibile (in media 1000 euro al mese in meno). C’è anche un altro dato molto preoccupante, la desertificazione demografica : nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174.000 nascite, livello minimo rilevato negli ultimi 150 anni, dall’Unità d’Italia ad oggi. In piùdal 2007 circa mezzo milione di giovani ha lasciato le regioni meridionali per cercare lavoro altrove.
La bassa crescita dell’Italia è causata in modo determinante da questo divario territoriale che non ha eguali in nessun altro Paese dell’Unione Europea. Il prodotto pro capite nelle regioni del Centro-Nord (31.124 euro) è vicino a quello delle nazioni più ricche d’Europa, come la Germania (31.703 euro) mentre il Sud registra un prodotto pro capite di appena 18.000 euro, meno della Grecia (18.500 euro).E pensare che dei fondi per lo sviluppo, europei e nazionali, risultano ancora non spesi ben tredici miliardi di euro. Una cifra enorme di soldi persi per l’insipienza della classe politica. In tutta l’Europa solo Romania e Malta hanno fatto peggio.
Questo divario economico si ripercuote negativamente in tutti i campi del vivere civile e del sociale. Ne ricordiamo qualcuno. Nel Trattato di Lisbona del 2002, per esempio, si era stabilito che entro il 2010 il 33 per cento della popolazione dei bambini da 0 a 2 anni dovesse avere una disponibilità di asili nido. Se l’Italia oggi raggiunge a malapena il 13 per cento scendendo lungo la penisola i numeri precipitano vicino allo zero (3 per cento in Puglia, 2,8 in Campania, 2,5 in Calabria). In materia di abbandoni scolastici la media dell’Unione Europea è attestata intorno al 13 per cento e in Italia sale al 18 per cento mentre raggiunge punte del 26 per cento in Sardegna e del 25 per cento in Sicilia. Dei 700.000 ragazzi italiani che abbandonano la scuola uno su tre sta nelle regioni meridionali. Nelle Università di cinque regioni del Mezzogiorno tra gli anni 2009 e 2014 le immatricolazioni sono crollate del 30 per cento con una vera fuga degli studenti. Del resto sono una media di 30.000 all’anno gli studenti italiani, in maggioranza meridionali, che lasciano l’Italia per andare a studiare in Università straniere sapendo che poi non torneranno in Italia. I posti letto universitari in Campania sono circa 1000, nella sola Lombardia sono 10.000.
La rete di trasporti scoraggia i viaggiatori soprattutto al Sud. Abbiamo 51 siti Unesco, 4000 musei (il triplo di quelli della Francia), 2000 aree archeologiche. Molti di questi al Sud. Ma solo il 13 per cento dei turisti che vengono in Italia arriva al Sud. Fra i mesi di luglio e agosto dagli aeroporti tedeschi partono 233 voli diretti alle isole baleari, quelli per la Sicilia sono appena 17.
Nei tribunali, come nelle scuole, nelle università, negli ospedali, ovunque ci sia un servizio pubblico organizzato con una rete, i livelli delle prestazioni sono molto diverse da regione a regione, da città a città. Un processo civile in città come Trento, Torino, Como, dura circa 500 giorni. Se scendiamo a Potenza, Foggia, Messina i tempi sono almeno triplicati. Il Sud è separato dal resto d’Italia anche attraverso questo indicatore : i procedimenti pendenti aperti da almeno tre anni al Nord sono il 19 per cento del totale, nelle regioni meridionali si sale al 40 per cento.
L’Italia è il paese europeo con la percentuale più alta di spazzatura che finisce nelle discariche (circa il 40 per cento del totale) per mancanza di impianti di trasformazione di rifiuti. Ma questa percentuale in Sicilia e Calabria supera il 90 per cento. Anche in questo l’Italia appare un paese diviso nettamente in due parti. A fronte di una media nazionale del 42 per cento di rifiuti urbani raccolti con la differenziata, in Veneto si sale al 65 per cento mentre in Sicilia si crolla al 14 per cento.
Si potrebbe continuare con questo elenco di dati che dimostrano il fallimento completo di una classe politica che ha governato l’Italia dal dopoguerra ad oggi senza riuscire a raggiungere minimamente il più grande obiettivo che aveva di fronte, quello di elevare economicamente e socialmente una parte rilevante ed essenziale del Paese e portarla al livello del resto della penisola. I numeri pubblicati sono peraltro sufficienti a indicare come ci sia addirittura un continuo e progressivo aumento del divario tra il Sud e il resto d’Italia. Riteniamo che per affrontare e vincere una sfida epocale come questa ci sarebbe bisogno di una tensione morale e di una spinta collettiva di tutto il popolo italiano. Questo popolo ha grandi risorse e nella storia ha dimostrato di saper fare miracoli. Oggi più che mai sarebbe necessario questo.