di Mario Bozzi Sentieri

 

“Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave. Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella: guardati innanzi !”. Con  questo appello all’infinito nietzschiano, nel 1980, venivano introdotti gli atti del primo incontro della Nuova destra, quelli del “Proviamola nuova”: un invito antinostalgico che segnò quanti parteciparono all’impresa.

L’idea di Marco Tarchi, il regista di quell’avventura culturale,  era di arrivare ad una rifondazione di una cultura politica,  che partendo da una nuova antropologia,  privilegiasse  una visione “comunitaristica”, antimaterialistica, identitaria, antiegalitaria, attraverso una strategia d’intervento culturale di taglio “gramsciano”, cioè impegnata ad incidere sui meccanismi di formazione delle mentalità, dei valori-tipo, delle credenze.

Quelle nuove coordinate hanno segnato per un decennio l’esperienza della Nuova destra, spalancando al mondo degli “esuli in Patria” opzioni culturali inusuali e rimarcando il già forte distacco dalla cultura degli slogans, delle semplificazioni e delle appropriazioni strumentali che aveva caratterizzato la vecchia destra.

Molto  tempo è trascorso da quelle “teorizzazioni”. Alcune di quelle “visioni” sono state metabolizzate dal mondo giovanile, diventando vere e proprie idee-guida. Intanto il progetto di una Nuova destra “all’italiana” – come ha sottolineato lo stesso Tarchi nella postfazione al suo  “La rivoluzione impossibile. Dai Campi Hobbit alla Nuova destra” (Vallecchi, 2010) – è evoluto nel tentativo di dar vita ad una “cultura delle nuove sintesi”, giocata sull’ipotesi di nuove convergenze e nuovi antagonismi, “collocati al di là e al di fuori dei confini del binomio sinistra/destra e fondati su alcune linee di frattura ritenute più attuali e pertinenti, a partire da alcuni temi connessi alla qualità della vita (dall’ecologia alla bioetica) e da altri che investono la trasformazione dell’ordine planetario (dalla nuova configurazione del sistema delle relazioni internazionali alla globalizzazione)”.

La linea evolutiva del percorso della Nuova destra è peraltro segnata dalla bibliografia di Alain de Benoist,  che ha sistematicamente integrato ed “aggiornato” i temi originari, spaziando dalla critica alla ragion mercantile al fallimento del sistema denaro, dal senso del Sacro all’identità europea, dall’etica della virtù all’Eurasia, dall’ideologia del genere al populismo.

Rispetto a questo lavorio intellettuale che tipo di collegamenti/integrazioni è intenzionato a realizzare il neo-patriottismo italiano? Se – come abbiamo ascoltato a conclusione di Atreju 2017 – il “patriottismo” deve diventare l’elemento di cesura/ricomposizione dell’area identitaria, nazionale, comunitaristica e sociale che tipo di rapporto si vuole realizzare con l’importante retroterra intellettuale della Nuova destra ? Ed i giovani di questo Terzo Millennio  come intendono incarnare la sfida “nell’orizzonte dell’infinito” ? Sono consapevoli delle “linee di frattura” intorno a cui costruire i nuovi percorsi identitari ? Sono dentro o fuori la cultura delle “nuove sintesi” ?

E’ su questi crinali che si gioca una partita determinante nel processo di ricostruzione  nazionale. Ed è ancora – ieri come oggi – alle retrovie culturali, quelle che interessano i  meccanismi di formazione delle mentalità, i valori-tipo, le credenze, che bisogna guardare per dare radici e profondità al “progetto”. Per ripensarsi curiosi e nuovi e dunque all’altezza delle sfide della contemporaneità, non restando prigionieri degli slogan e della  politica del giorno-per-giorno.