Claudia Tarantino

L’Italia fatica ad avere un capitale umano all’altezza dei suoi competitor. O meglio, ‘arranca’, poiché si piazza solo al 35esimo posto nella classifica redatta dal World Economic Forum, che passa in rassegna 130 Paesi, arrivando dopo nazioni come Slovenia, Estonia, Russia, Repubblica Ceca, Ucraina e Lituania.
Secondo la definizione dell’Ocse, il capitale umano è costituito “dall’insieme delle conoscenze, delle abilità, delle competenze e delle altre caratteristiche individuali che facilitano la creazione del benessere personale, sociale ed economico”.
Nel rapporto del Wef viene costruito un ‘profilo’ per ciascun Paese che tiene conto principalmente di quattro fattori: la capacità di formare il capitale umano, il suo utilizzo nel lavoro, il suo sviluppo tramite l’istruzione e la formazione professionale e, infine, il know how, ovvero le competenze, sia in termini di capacità pratica che di conoscenza teorica, necessarie per svolgere al meglio un’attività.
Se da un lato non sorprende che nella ‘top ten’ ci siano, nell’ordine, Norvegia, Finlandia, Svizzera, Usa, Danimarca, Germania, Nuova Zelanda, Svezia, Slovenia e Austria, che in quanto a competitività battono sempre tutti, dall’altro lato è curioso notare che le economie cosiddette emergenti, come ad esempio Cina, Brasile e India, siano abbastanza indietro nella classifica nonostante da anni facciano da traino alla crescita globale.
Ma, tornando ai nostri ‘guai’, “ il vero problema – sostiene il Wef – è la distribuzione dei talenti nell’economia”. Ovvero, una “partecipazione attiva alla forza lavoro molto bassa nella fascia di età 25-54 anni” (che fa scendere l’Italia al 103esimo posto) e “un divario generalmente malsano tra donne e uomini nell’occupazione” che, sempre secondo il Wef, “non aiuta a migliorare le prospettive degli Italiani per realizzare il potenziale di crescita”.
Tirando le somme, dunque, il nostro Paese si dimostra incapace di “sviluppare adeguatamente il talento dei giovani” e questa situazione non solo determina diseguaglianze, ma sta privando il capitale umano più fecondo della nazione dell’opportunità di accedere a lavori migliori.
In sostanza, come dimostra il rapporto, l’Italia “è una fabbrica di talenti, che però non utilizza come potrebbe” e – aggiungiamo noi – ‘come dovrebbe’.
E’ forse il caso di ricordare a chi ci governa le parole del premio Nobel Gary Becker proprio in merito all’importanza del capitale umano: “Il successo e la crescita saranno in quei Paesi che sapranno investire nei propri cittadini. Perché il capitale umano è sempre più importante; perché non basta possedere petrolio e materie prime per prosperare; perché le persone e non le risorse o le macchine determinano già, ma lo faranno sempre di più, la nostra ricchezza. Questa è la mia visione dell’umanità: le persone sono importanti”.