di Claudia Tarantino

Sebbene gli esponenti del Governo non perdano occasione per ribadire che ‘la crescita è finalmente tornata’, la crisi continua a colpire.

I suoi effetti, infatti, si riscontrano sia nelle difficoltà a riprendere terreno delle grandi aziende, sia nell’impossibilità a tirare avanti di artigiani e piccoli commercianti, con pesanti ripercussioni sui livelli occupazionali.

Secondo le stime della Cgia di Mestre “negli ultimi 8 anni l’Italia ha perso quasi 158.000 imprese attive tra botteghe artigiane e piccoli negozi di vicinato. Di queste, oltre 145.000 operavano nell’artigianato e poco più di 12.000 nel piccolo commercio. Le chiusure hanno portato alla perdita del posto di lavoro per poco meno di 400.000 addetti”.

E’ bene notare che questo trend negativo non è migliorato nemmeno negli ultimi 12 mesi, nonostante l’Istat abbia certificato un aumento del Prodotto Interno Lordo, perché “tra giugno di quest’anno e lo stesso mese del 2016 il numero delle imprese attive nell’artigianato e nel commercio al dettaglio è sceso di 25.604 unità (-1,2%)”.

Nonostante tutto, non si può neanche dire che sia tutta colpa della crisi e del generale calo dei consumi, perché tasse sempre più pesanti da sostenere, mancanza di credito, una burocrazia ancora astrusa, insieme all’impennata del costo degli affitti, hanno contribuito a mettere in ginocchio molti piccoli imprenditori, costringendoli ad abbassare definitivamente la saracinesca.

Inoltre, come denuncia il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo, occorre tener conto anche del fatto che “negli ultimi 15 anni le politiche commerciali della grande distribuzione si sono fatte sempre più mirate ed aggressive” e così “per molti artigiani e piccoli negozianti non c’è stata via di scampo. L’unica soluzione è stata quella di gettare definitivamente la spugna”.

Secondo l’associazione, “in questi ultimi 8 anni lo stock complessivo delle imprese attive nell’artigianato è costantemente sceso da 1.463.318 a 1.322.640, le attività del commercio al dettaglio, invece, sono diminuite in misura più contenuta: se nel 2009 erano 805.147, nel giugno di quest’anno si sono attestate a quota 793.102”.

Le categorie artigiane che dal 2009 hanno subito le contrazioni più importanti sono state quelle degli autotrasportatori (-30 per cento), i falegnami (-27,7 per cento), gli edili (-27,6 per cento) e i produttori di mobili (-23,8 per cento).

In controtendenza, invece, il numero di parrucchieri ed estetisti (+2,4 per cento), gli alimentaristi (+2,8 per cento), i taxisti/autonoleggiatori (+6,6 per cento), le gelaterie/pasticcerie/take away (+16,6 per cento), i designer (+44,8 per cento) e i riparatori/manutentori/installatori di macchine (+58 per cento).

Ancora una volta è il Sud a dimostrarsi come l’area più colpita, con una contrazione delle attività artigianali del 12,4 per cento. In testa la Sardegna (-17,1 per cento), seguita da Abruzzo (-14,5), Sicilia (-13,5), Molise (-13,2) e Basilicata (-13,1). Anche se, in termini assoluti, è la Lombardia (-18.652) il territorio che ha registrato il numero di chiusure più elevato, seguita da Emilia Romagna (-16.466), Piemonte (-15.333) e Veneto (-14.883).

Tutto ciò, quindi, è un’ulteriore dimostrazione che il Testo unico sull’apprendistato del 2011, il Jobs Act e le altre misure prese finora non sono sufficienti a rilanciare la crescita e l’occupazione né sono in grado di fermare la spirale negativa che sta risucchiando le piccole imprese ed i suoi addetti.
E pensare che una volta l’artigianato era il fiore all’occhiello del nostro Made in Italy.