di Annarita D’Agostino

Lavoro e giovani: sono queste, secondo le indiscrezioni che si rincorrono in questi giorni, le parole chiave della manovra allo studio dei tecnici di Palazzo Chigi, che ‘stanno facendo i conti’ prima della pausa estiva. Il governo, almeno sulla carta, sembra finalmente accorgersi di quelli che sono i colli di bottiglia del sistema economico italiano – un mercato del lavoro sempre più precario e nessuna opportunità per i giovani -, e studia varie misure per porvi rimedio. Alla luce di ciò, sono evidentemente troppo ‘facili’ gli entusiasmi che il premier e il ministro del Lavoro mostrano alla diffusione dei dati che segnalano crescite dello ‘zero virgola’ e incrementi occupazionali dovuti esclusivamente al boom dei posti di lavoro a termine, conseguenza prevedibile della progressiva e incessante precarizzazione alimentata dal Jobs Act.
Secondo le notizie circolate negli ultimi giorni, la manovra finanziaria ammonterebbe a 15-20 miliardi di euro e, fra le misure papabili, ci sarebbe l’abbassamento del costo del lavoro dei giovani, del valore di circa 2 miliardi. L’ipotesi è una sperimentazione triennale e si sta tenendo conto della posizione europea, che ritiene ‘giovani’ i lavoratori dai 35 anni in giù e non dai soli 29 anni in giù come si era ipotizzato inizialmente.
Si punterebbe poi, finalmente, sulle politiche attive del lavoro, con il riordino dei centri pubblici per l’impiego, rimasti “sospesi”, scrive Il Messaggero, sia dal punto di vista organizzativo che finanziario, anche per effetto collaterale della riforma delle Province, che ha aggravato le criticità già esistenti. Palazzo Chigi vorrebbe inoltre portare a regime l’assegno di ricollocazione gestito dall’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, che viene versato al centro per l’impiego o all’ente che si occupa della ricollocazione del disoccupato; per estendere la platea dei beneficiari, l’esecutivo potrebbe eliminare il vincolo dell’accesso all’indennità di disoccupazione Naspi da almeno 4 mesi.
Un altro capitolo importante è il potenziamento del nuovo strumento di contrasto alla povertà, il reddito di inclusione (Rei), che sarà erogato da settembre in via sperimentale: anche in questo caso, il governo punterebbe ad estenderne la fruizione, incrementando il finanziamento attuale (1,6 miliardi nel 2018) fino a 4-5 miliardi nel prossimo triennio 2018-2020.
Secondo calcoli dell’agenzia di stampa Ansa, nel costo della manovra occorre poi considerare i 2 miliardi per il rinnovo dei contratti pubblici, i 6-7 miliardi necessari ad evitare l’aumento dell’Iva, circa 3 miliardi “per spese indifferibili”. Altre variabili rilevanti sono inoltre: l’andamento della crescita, sulla quale incideranno le stime preliminari sul Pil che l’Istat diffonderà a metà agosto; il gettito della rottamazione delle cartelle Equitalia (si ipotizzano una riapertura dei termini per presentare domanda e una rateizzazione più ampia); l’ ‘ammontare’ della riforma delle pensioni oggetto della trattativa fra governo e sindacati (congelare l’aumento dell’età pensionabile prima che arrivi a 67 anni ha un valore di 1,2 miliardi di euro).
Secondo fonti governative, si punta a ‘far quadrare i conti’ al più presto, per arrivare senza intoppi a presentare la manovra al CdM a fine ottobre. I calcoli fervono, ma le incertezze sono ancora tante, e vale sempre il vecchio detto: fra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare.