di Fiovo Bitti

Il condizionale è d’obbligo, ma il rischio è oggettivamente concreto: a settembre, la campanella delle scuole delle aree del centro Italia, colpite lo scorso anno da un violento sciame sismico, potrebbe non suonare. Tutto ciò, perché l’attività di messa in sicurezza è fortemente in ritardo per una serie di ragioni, anche burocratiche, che, a poco più di un mese dalla ipotetica partenza, appare complicato risolvere. I fatti: il commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, mette a punto un piano di ricostruzione, riparazione e verifica della vulnerabilità degli edifici scolastici del cosiddetto cratere, vale a dire l’area colpita; questo accade a gennaio. Già in quei mesi, però, la protezione civile segnalò ai sindaci la loro responsabilità in ordine alla sicurezza degli stabili, con annessa coda polemica e la conseguente chiusura di alcuni Istituti in coincidenza con l’eccezionale ondata di maltempo che colpì soprattutto l’Abruzzo e le Marche. Al ché seguì un vertice a Palazzo Chigi ed un ampio monitoraggio della situazione esistente, indagine che ha portato alla luce le condizioni a dir poco pietose di larga parte del patrimonio immobiliare scolastico di quell’area. Nel frattempo, i bandi per gli interventi su circa novanta plessi, per un finanziamento complessivo di 230 milioni di euro, sono andati quasi tutti deserti: tempi stretti di realizzazione, richiesta da subito di un progetto esecutivo e, suggerisce qualcuno, le maglie più strette dei controlli avrebbero indotto molto imprese a non presentare le proprie offerte. Una situazione di stallo che finirà, inevitabilmente, per penalizzare gli studenti e il personale scolastico.