di Francesco Paolo Capone

Nell’editoriale apparso oggi sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini affronta il tema denatalità prendendo spunto dalla recente notizia sull’aumento dell’infertilità fra gli uomini occidentali attestata da uno studio dell’Università di Gerusalemme.
Gramellini arriva a dire, e non si può che concordare, che sarebbe giusto ed opportuno che una questione di tale gravità desse vita a cortei e manifestazioni, come sarebbe avvenuto se sotto minaccia di estinzione ci fossero stati, anziché gli Occidentali, i pappagalli della Nuova Zelanda o qualsiasi altra specie del regno animale. L’editorialista nota il silenzio che circonda, a suo avviso, una simile preoccupante notizia.
Al contrario, sembra invece inconsueta l’attenzione che, in questo caso come in altri, la sinistra nostrana sta ultimamente porgendo al tema della denatalità, argomento che fino a pochi anni fa era considerato un tabù.
Se dovessimo datare l’inversione di rotta della sinistra, ci potremmo riferire alla campagna sul “Fertility Day” avviata dal ministro Lorenzin lo scorso autunno, caratterizzata da grossolani errori comunicativi, seguita da diverse dichiarazioni più o meno imbarazzanti di vari esponenti dei partiti di governo sul tema, fino al recente “dipartimento mamme”.
Errori forse dettati dal fatto che, fino a poco tempo fa, il guardare con preoccupazione alla prospettiva dell’estinzione di Italiani ed Occidentali, veniva considerato dalla sinistra – ed ancora oggi da alcune frange estreme – espressione di becero sciovinismo verso un non-problema, anziché, come dovrebbe essere, normale disappunto per la crisi profonda in cui versa la nostra civiltà.
Una crisi demografica così profonda non può essere spiegata solo in termini di economia, non riguarda solo i dati su Pil e occupazione, non si esaurisce neanche nel bisogno di più welfare e tutela dell’ambiente e della salute. È innanzitutto determinata dalla perdita della propria identità.
Noi che di questi temi ci siamo sempre occupati e che non ci siamo mai vergognati di augurare lunga vita agli Italiani ed agli Occidentali, lo abbiamo sempre sostenuto. L’orgoglio nazionale, il sentimento di appartenenza ad una civiltà, quella europea, ricca di errori ma anche di grandi conquiste, è stato per decenni demonizzato, interpretato solo nei suoi aspetti peggiori. Ora che gli effetti di questa interpretazione distorta si stanno realizzando appieno, purtroppo, non si può più nascondere il problema.
Un’intera generazione di Occidentali e di Italiani si percepisce, più o meno consapevolmente, come sradicata e priva di futuro. Occorre invertire questa tendenza con un progetto complessivo di sviluppo, non solo economico, ma anche sociale e soprattutto valoriale, che riesca ad infondere nuova speranza, che restituisca dignità e significato al nostro essere comunità ed al legittimo orgoglio di farne parte.