di Claudia Tarantino

Se il Mezzogiorno “proseguirà con gli attuali ritmi di crescita, recupererà i livelli pre-crisi nel 2028, 10 anni dopo il Centro-Nord”.
E’ questo il ‘verdetto’ del Rapporto Svimez 2017 sull’economia meridionale che, anche quest’anno, elenca ancora troppi ‘ritardi’ su fattori fondamentali per la ripresa, come la produttività, la competitività, l’occupazione.
E poco importa se nell’ultimo biennio lo sviluppo delle Regioni del Mezzogiorno “è risultato superiore di quello del resto del Paese”, perché “non è sicuramente sufficiente a disancorare il Sud da una spirale in cui si rincorrono bassi salari, bassa produttività, bassa competitività, ridotta accumulazione e, in definitiva, minor benessere”.
Secondo l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, “il nodo vero, ancora una volta, è lo sviluppo economico nazionale”, per il quale il Sud “deve essere un’opportunità, calibrando l’intensità e la natura degli interventi”.
A tal proposito, lo Svimez propone una ‘strategia’ mirata a “rivedere la Politica di coesione”, a conquistare “maggiori margini di flessibilità del bilancio”, abbandonando le politiche di austerità e rivedendo il Fiscal Compact con l’obiettivo di “rilanciare gli investimenti pubblici ed assumere il Mediterraneo come orizzonte strategico”.
Dalla fotografia Svimez sull’economia meridionale è interessante notare come il Sud non sia più “un’area giovane, né tantomeno il serbatoio di nascite del resto d’Italia: negli ultimi 15 anni, al netto degli stranieri, la popolazione meridionale è diminuita di 393mila unità, mentre è aumentata di 274mila nel Nord”. Inoltre, nell’ultimo quindicennio “sono emigrati dal Sud 1,7 milioni di persone, a fronte di un milione di rientri, con una perdita netta di 716.000: nel 72,4% sono giovani entro i 34 anni, 198.000 sono laureati”.
Più di ogni altra misura, quindi, sarebbe il caso di invertire principalmente questa tendenza: se questa ‘forza-lavoro’ giovane, preparata e motivata lascia la propria terra, su quali altre basi si può fondare la ripresa del Mezzogiorno?

Occupati: +1,7% nel 2016, ma restano al di sotto del livello del 2008
Secondo i dati raccolti dallo Svimez e presentati nel Rapporto 2017 sull’economia meridionale “nella media del 2016 gli occupati aumentano rispetto al 2015 al Sud di 101.000 unità, pari a +1,7%, ma restano comunque di circa 380.000 al di sotto del livello del 2008”.
Su questo aumento inciderebbero, però, delle scelte che stanno determinando anche “una preoccupante ridefinizione della struttura e della qualità dell’occupazione”, come l’incremento degli occupati anziani e del part-time. In particolare, la riduzione dell’orario di lavoro, facendo crescere l’incidenza dei dipendenti a bassa retribuzione, deprime i redditi complessivi.
Il più frequente ricorso a contratti a tempo indeterminato, che in termini relativi risulta più accentuata nel Mezzogiorno, resta invece legato solo al prolungamento della decontribuzione.

PIL: in 15 anni persi 7,2 punti
Tra il 2001 e il 2016 “la caduta del Pil cumulato al Sud è stata del 7,2%, a fronte di una crescita del 23,2% dell’Unione europea”. Nonostante il Prodotto interno lordo del nostro Paese sia cresciuto dello 0,1% nel 2014, dello 0,8% nel 2015 e dello 0,9% nel 2016, il recupero è ancora troppo lento se si considera che la crescita dell’area euro è stata doppia (1,8%), continuando così ad allargare “la forbice di sviluppo con l’Europa”.

Iva: sul Sud un effetto di 15 miliardi
Lo Svimez stima che “gli effetti dell’eventuale attivazione della clausola di salvaguardia relativa all’aumento delle aliquote Iva nel 2018 avrebbe sul Sud un effetto di circa 15 miliardi. Se questo aumento diventasse operativo, “sarebbe l’economia meridionale a subire l’impatto più negativo: nel biennio 2018/2019 il Pil del Sud perderebbe quasi mezzo punto percentuale di crescita (0,47%), due decimi di punto in più rispetto al calo di prodotto presunto nel Centro-Nord (0,28%)”.

Dieci meridionali su 100 sono poveri assoluti
Nel 2016 circa 10 meridionali su 100 sono in condizione di povertà assoluta, contro poco più di sei nel Centro-Nord. Inoltre, al Sud il rischio di povertà è triplo rispetto al resto del Paese: in Sicilia al 39,9%, in Campania al 39,1%, in Calabria al 33,5%. “La povertà deprime la ripresa dei consumi, e, in questo contesto, le politiche di austerità hanno determinato il deterioramento delle capacità del welfare pubblico a controbilanciare le crescenti diseguaglianze indotte dal mercato, in presenza di un welfare privato del tutto insufficiente al Sud”.

Campania: è la Regione italiana cresciuta di più nel 2016
Nel 2016 la Campania, con una crescita del 2,4%, è la regione italiana, e non solo meridionale, che ha registrato il più alto indice di sviluppo. “Un ruolo trainante lo ha svolto l’industria, grazie anche alla diffusione di Contratti di Sviluppo, ma ha potuto altresì beneficiare del rafforzamento del terziario nell’ultimo anno, frutto prevalentemente del positivo andamento del turismo”.
Al secondo posto la Basilicata, che mantiene la crescita, seguita dalla Puglia, che invece ha molto frenato rispetto al 2015. soprattutto perché “è andata male l’agricoltura, che ha un peso notevole nell’economia regionale”, e dalla Calabria, che ha registrato un andamento favorevole nell’industria (+8,2%). La Sicilia, che cresce dello 0,3%, “sconta nel 2016 gli effetti negativi dell’agricoltura, mentre l’industria (-0,8%) e le costruzioni (-0,5%) stentano a invertire il trend e il settore dei servizi ha un andamento poco più stazionario (+0,4%)”. L’Abruzzo, il cui Pil nel 2016 è negativo (-0,2%), registra un forte calo dell’agricoltura e l’industria subisce una pesante battuta d’arresto. Il Molise “regge sostanzialmente il ritmo di crescita dell’anno precedente (+1,6%), trainato soprattutto dalle costruzioni e, anche se in misura molto minore, dai servizi”. La Sardegna, “pur se con ritardo rispetto al resto delle regioni meridionali, esce nel 2016 dalla fase recessiva e riprende a respirare, ottenendo per la prima volta un aumento del Pil (+0,6%) dopo l’andamento negativo del prodotto sia nel 2014 che nel 2015, grazie soprattutto all’industria”.