Ennesimo record del debito pubblico: i dati della Banca d’Italia diffusi svelano che il debito pubblico a maggio ha raggiunto un nuovo record toccando quota 2.278 miliardi in aumento di 8 miliardi rispetto al mese precedente.
L’incremento è dovuto principalmente al fabbisogno mensile delle Amministrazioni pubbliche (7,0 miliardi); vi contribuiscono anche l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (per 0,5 miliardi, a 58,9; erano pari a 72,7 miliardi alla fine di maggio 2016) e l’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione del tasso di cambio (0,7 miliardi).
Le reazioni in merito si differenziano tra chi, come il segretario generale dell’Ugl, Francesco Paolo Capone, sostiene che “anni di sacrifici sono stati buttati al vento”, riferendosi in particolare ai tagli lineari che hanno colpito sostanzialmente gli interessi dei lavoratori pubblici e dei cittadini, e chi come Unimpresa ritiene che la spesa dello Stato continua ad essere “intoccabile”, perché il “governo non riesce, o forse non vuole, aggredire gli sprechi del bilancio pubblico”.

Fatto sta che il Paese si è indubbiamente impoverito per le politiche di rigore votate a far quadrare i conti pubblici, che la povertà e aumentata e che i servizi sono diminuiti. Non solo, anche le entrare fiscali diminuiscono: un ulteriore segnale che la ricchezza o non si crea o si fa difficoltà a farla circolare alla luce del sole.