di Nazzareno Mollicone

Nella sua relazione annuale sull’Inps, svolta alla Camera dei Deputati – Sala della Regina – il 4 luglio, Tito Boeri (presidente dell’Ente dal dicembre 2014 per nomina di Matteo Renzi) ha espresso delle tesi che appaiono sorprendenti ed anche pericolose per il sistema previdenziale italiano.

Boeri, prendendo spunto dal fatto che all’Inps sono state delegate dallo Stato una serie d’incombenze amministrative e finanziarie che con la previdenza c’entrano poco (disoccupazione, bonus bebè, controlli malattia, invalidità civili, immigrazione, certificazione degli iscritti ai sindacati, ed altro ancora) ha proposto che esso cambi denominazione e che la “P” della sigla debba in futuro significare “protezione” anziché “previdenza”. Ed è tanto convinto di questa sua tesi che in tutta la relazione non ha trovato modo di parlare dei problemi pensionistici, che pure assillano tanti cittadini: l’età di pensionamento che potrebbe allungarsi per la cosiddetta “speranza di vita”; i mancati adeguamenti al costo della vita per le pensioni superiori ai minimi; l’innalzamento degli stessi minimi; l’imminente “anticipo pensionistico” detto “APE”, che imporrà oneri bancari ed assicurativi ancora non definiti ai richiedenti, ed altro ancora.

La tesi di fondo è quindi che l’Inps debba trasformarsi in un Ente preposto al “welfare”, ossia ad intervenire per coprire i problemi della povertà, della disoccupazione, della natalità. Fra l’altro, Boeri inneggia all’immigrazione (anche se contraddittoriamente, perché afferma anche che oggi i giovani devono essere altamente specializzati per trovare lavoro in una società tecnologicamente sviluppata: ma gli immigrati, ed egli lo dice, non lo sono…): però gli immigrati, per la mancanza di formazione, per le condizioni lavorative di bassa qualità e gli scarsi anni di contribuzione dovranno ricorrere ad interventi assistenziali, quindi aggravando le spese dell’Inps.

Il pericolo insito in questa tesi, però, è che anche la pensione sia considerata una forma di assistenza sociale, e quindi il governo potrebbe stabilirne l’importo solo in base a criteri meramente finanziari e di sussistenza socio-economica, a prescindere dai diritti acquisiti con i contributi. In altri termini, la riforma tante volte sbanderiata del sistema contributivo per attribuire l’importo della pensione solo in base ai versamenti contributivi effettuati, verrebbe annullata dinanzi alle esigenze sociali (e di bilancio) del welfare dell’Inps. Si può commentare rilevando come per anni si sia discusso sulla separazione tra assistenza e previdenza dell’Istituto, con lo scopo di mantenere integro l’equilibrio previdenziale tra contributi versati e pensioni percepite, ed adesso Boeri vuole risolvere questo dilemma trasformando l’Ente di cui è stato nominato presidente in un Ente meramente assistenziale che dovrà operare in base ad un’ideologia pauperista ed egualitaria.

Ed i pensionati o pensionandi che fine faranno? O si accontentano di quello che passerà lo Stato tramite l’INPS, mutabile in continuazione a seconda delle disponibilità finanziarie (vedi Grecia) ovvero dovranno pensare a costituirsi una pensione autonoma: cosa molto auspicata dalle compagnie di assicurazione, ed è forse questa la vera finalità della tesi di Boeri.

Occorre quindi porre molta attenzione alle sue tesi per evitare che esse siano recepite in sede governativa e lasciarle allo stato di mere elucubrazioni. Fra l’altro, Boeri, nel ricordare che la sua carica presidenziale durerà ancora un paio di anni, ha evitato accuratamente di riferirsi alla modifica del sistema di governo dell’Inps. Sono infatti giacenti molte proposte di legge, sulle quali qualche settimana fa vi è stata un’audizione al Parlamento, che intendono abolire il regime monocratico vigente all’Inps ormai da molti anni per sostituirlo con un consiglio di amministrazione ed un consiglio di strategia, con nuovi poteri rispetto all’esistente consiglio d’indirizzo e vigilanza, proprio in considerazione degli importanti compiti affidati all’Istituto e dell’elaborazione di adeguate strategie per garantire il futuro dei cittadini, a cominciare dai lavoratori e delle aziende che versano regolarmente i contributi e si attendono alla scadenza la corresponsione di una pensione esattamente calcolata, e non attribuita in base alle esigenze annuali di bilancio.

Infine, va anche osservato che nella sua relazione Boeri ha mostrato molta disattenzione verso i sindacati: ha detto che non sono rappresentativi dei lavoratori, ha auspicato la diffusione della contrattazione decentrata al posto di quella collettiva nazionale, ha chiesto l’istituzione del salario minimo per legge che per lui è già contenuto nell’importo dei “voucher”, ha sostenuto che la pubblica amministrazione è bloccata dall’ostruzionismo sindacale.

Ci sembra quindi che quelle esposte nella relazione annuale del presidente dell’Inps siano tesi che alterano il giusto equilibrio tra assistenza sociale, corpi intermedi e diritti acquisiti e che inducono ad alimentare la preoccupazione dei lavoratori sul loro futuro previdenziale.