di Annarita D’Agostino

Il licenziamento “intimato su WhatsApp” è efficace a tutti gli effetti. Arriva dal profondo Sud la sentenza innovativa che promette, o minaccia, di cambiare le modalità con le quali il datore di lavoro è tenuto a comunicare l’interruzione del rapporto di lavoro.
Secondo il Tribunale del Lavoro di Catania, può bastare un sistema di messaggistica, o un social network, per comunicare a un dipendente che è licenziato perché il licenziamento ‘social’ assolve agli oneri di forma previsti dalla normativa vigente.
In realtà, l’utilizzo dei social network “non è una novità” ha dichiarato l’avvocato Fabrizio Daverio, socio fondatore dello Studio legale Daverio & Florio che in Italia rappresenta Innangard, il network internazionale di specialisti nel diritto del lavoro. Daverio ricorda il caso di un barista di Genova licenziato nel 2016 dal datore di lavoro con l’sms “‘Non faccio più aperitivi, buona fortuna”: “Secondo il giudice genovese il messaggio, inserito nel contesto dei rapporti intercorsi tra le parti – spiega Daverio -, manifestava chiaramente la volontà della società di risolvere il rapporto. Inoltre, aggiunge il medesimo giudicante, l’sms è, in definitiva, un documento informatico, sottoscritto con firma elettronica”.
Tuttavia, sull’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione per il licenziamento la posizione della giurisprudenza non è unanime “anche per i possibili dubbi sulla provenienza del messaggio. Probabilmente occorre distinguere fra piccole aziende, dove i social possono essere una piattaforma di dialogo lavorativo – continua Daverio -, e medie-grandi, dove ci sono sistemi informatici sofisticati e articolate policy di validità delle comunicazioni. In ogni caso dovranno essere evitati i messaggi che si auto-cancellano e, invece, affidarsi alle ‘spunte blu’ per avere la prova della ricezione”. Insomma, cambia il modo di comunicare, cambia quello di licenziare, e con il cellulare sempre in tasca nessuno è più al sicuro.