Il rigore ha creato solo danni ma resta la via obbligata. Cade a dir poco nella contraddizione la relazione odierna della Corte dei Conti. Il presidente della Corte dei Conti, Arturo Martucci di Scarfizzi ha infatti lanciato l’appello affinché l’Italia mostri una ferma determinazione a perseguire una duratura riduzione del debito pubblico, garantendo il rispetto dei vincoli costituzionali introdotti nel 2012. Nella relazione, però, si ammette che “a consuntivo” le misure messe in atto mentre “sembrano avere salvaguardato l’operare di interventi di sostegno dei comparti produttivi, non hanno prodotto risultati di contenimento del livello complessivo della spesa”, e proprio per questo motivo “resta, quindi, ancora attuale la necessità di una revisione attenta di quanto può, o non può, essere a carico del bilancio dello Stato”. In sintesi, il rigore non ha funzionato ma possiamo riprovare. La domanda però sorge spontanea: se la “mannaia” in questi anni non ha prodotto i risultati sperati, non sarebbe il caso di cambiare ricetta, o almeno di proporne una diversa? Un passaggio interessante è quello che verte proprio sulla Pubblica amministrazione: “Non si può fare a meno di notare come il cammino della riforma della Pa sembra scontare una serie di incertezze di fondo su taluni temi cruciali e a valenza strategica quali quelli delle società partecipate e della dirigenza”. Tali incertezze “hanno determinato un andamento non lineare non solo delle modalità e dei tempi del processo riformatore, ma anche, per taluni aspetti, della stessa filosofia innovativa su cui la riforma si deve fondare”. Eppure la parola d’ordine era razionalizzare, tagliare, contenere, spesso sulle spalle dei più deboli, senza pensare, invece, che una logica di questo tipo ha solo penalizzato e ingessato il settore pubblico, che va reso più efficiente intervenendo sui veri sprechi e valorizzando le professionalità di chi lavora. Ma il rigore che dobbiamo seguire è anche quello imposto dai vincoli europei. Lo dice proprio Angelo Buscema, presidente di coordinamento delle sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei Conti: “L’elemento di maggiore vulnerabilità dell’economia italiana, vale a dire l’elevato livello del debito pubblico, impone alla politica economica, ben di più di quanto non derivi dai vincoli fissati con le regole europee sui conti pubblici”. La Corte dei Conti ritiene di fatto che sul fronte dei conti pubblici l’Italia debba fare di più anche rispetto a quanto richiesto dall’Unione europea. “E’ importante – ha detto – proseguire lungo un percorso di rientro molto rigoroso, attraverso un’attenta gestione dei conti pubblici che garantisca il raggiungimento, in tempi certi, degli obiettivi programmati di saldo e di debito, scongiurando inversioni di segno negativo delle aspettative dei mercati”. Altro giro, dunque, altra corsa. Magari la seconda volta sarà quella buona per capire che il rigore va bene, quando colpisce i veri sprechi con interventi mirati al’efficienza e non solo al risparmio.