di A.M.

La siccità sta divorando l’Italia e la corsa per correre ai ripari mette tutti in affanno. Rubinetti a secco in molte aree del territorio e, paradosso vuole che le città provviste di acquedotti o attraversate da corsi d’acqua  stiano peggio di altre, per citarne una: la Capitale.

Nelle stagioni critiche, le portate di fiumi e falde tendono a essere quasi completamente sfruttate e non rimane un deflusso naturale sufficiente, non solo a mantenere vivo l’ecosistema nel caso dei fiumi, ma nemmeno a diluire gli inquinanti che seppur trattati dai depuratori è necessario scaricare. I dati relativi alla qualità di alcune stazioni campione nei principali fiumi italiani durante gli ultimi 10 anni, mostrano una situazione mediocre a dimostrazione che l’ intervento infrastrutturale in termini di depurazione civile e industriale ha permesso di frenare, ma non di invertire la tendenza al degrado qualitativo delle risorse idriche.

Del rischio desertificazione per un quinto del Paese ne aveva parlato già alcuni giorni fa il Wwf. Dallo studio, infatti, è emerso che le zone a rischio sono quelle meridionali (Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia), ma sono coinvolte anche quelle di altre regioni come l’Emilia-Romagna, le Marche, l’Umbria e l’Abruzzo.

E’ bene evidenziare che secondo gli scenari del cambiamento climatico realizzati dagli specialisti del Centro Euromediterraneo per i Cambiamenti Climatici, entro fine secolo le previsioni potrebbero prevedere incrementi di temperature tra i 3 e i 6 °C con conseguente estremizzazione di fenomeni meteorici e quindi anche riduzioni, in diverse aree, delle precipitazioni, soprattutto nei periodi estivi ed è evidente che le problematiche climatiche e quelle relative alla desertificazione saranno sempre di più intrecciate.

Nel nostro Paese (e non solo, basta dare uno sguardo al resto d’Europa) si sta già verificando un incremento della temperatura senza precedenti con un calo delle precipitazioni annuali, con estati più secche, ed inverni più umidi, in particolare, nelle regioni settentrionali. Su un territorio complesso e fragile come quello italiano, questi fenomeni portano ad una sostanziale variazione della frequenza e delle entità di frane, alluvioni e magre dei fiumi, con effetti importanti per l’assetto territoriale e i regimi idrici.

Ma emergenza idrica è sinonimo anche di spreco: sempre secondo i dati rielaborati dal Wwf utilizziamo oltre il 30% delle risorse rinnovabili d’acqua disponibili nel nostro paese che sono ben superiori alla soglia del 20% indicata dall’obiettivo europeo (Europa efficiente nell’impiego delle risorse): per questo, l’Italia è indicato dall’Ocse come paese soggetto a stress idrico medio-alto che, inoltre, presenta una forte disomogeneità rispetto alla distribuzione delle risorse idriche e al loro fabbisogno. Dai dati Istat sulle diverse tipologie di utilizzo della risorsa idrica, risulta che il prelievo dell’acqua potabile è in aumento (del 6,6% rispetto all’inizio della serie storica di 13 anni) e ammonta a 9,5 miliardi di metri cubi (il consumo medio giornaliero per abitante giunge a 228 litri). La siccità sta colpendo anche le Oasi e da tempo: i livelli delle acque delle aree umide stanno calando e ci sono aree già secche. Le falde si sono abbassate in più luoghi. La vegetazione di alcune aree gestite dal Wwf è già in stress idrico avanzato.

I provvedimenti

Ieri è arrivata una dichiarazione di stato di emergenza per il territorio delle province di Parma e di Piacenza (dal monitoraggio effettuato dalla Coldiretti emerge che il livello idrometrico del fiume Po è più basso di oltre un metro e mezzo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno).

E’ stata questa la decisione presa dal Consiglio dei ministri, su proposta del premier Paolo Gentiloni: in arrivo 8 milioni e 650 mila euro e deroghe per assicurare la fornitura di acqua potabile alla popolazione. In quelle aree la crisi idrica in atto è dovuta a un lungo periodo di siccità a partire dall’autunno 2016, aggravato dalle elevate temperature estive e dai rilevanti afflussi turistici che hanno determinato un considerevole aumento delle esigenze idropotabili.

Situazione critica pure nel Lazio. A quasi sei mesi dall’inizio dell’anno le precipitazioni si sono ridotte. E’ scattata, quindi, l’ordinanza a firma del sindaco Raggi per regolamentare l’uso dell’acqua potabile, proveniente dalla rete idrica comunale gestita da Acea Ato 2. Il provvedimento, in linea con quello già adottato da altre amministrazioni comunali del territorio laziale, fa riferimento all’uso dell’acqua per scopi diversi da quelli domestici. L’ordinanza, in vigore fino a settembre, mira soprattutto a preservare il livello delle acque del lago di Bracciano.

E’ tutto il Belpaese a ‘boccheggiare’: anche la Sardegna ha chiesto lo stato di calamità naturale al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina. C’è poi il Piemonte, che con il 65% di precipitazioni in meno rispetto alla media ha decretato lo stato di massima pericolosità su tutto il territorio regionale.

Anche il Veneto continua a soffrire: il territorio presenta una “condizione di deficit idrico generalizzato rispetto ai valori medi stagionali” e così oggi il governatore Luca Zaia ha firmato una nuova ordinanza – dopo quella del 18 aprile e del 16 maggio – che conferma lo stato di crisi idrica, per attuare le misure necessarie a contrastarla. Anche misure estreme: il sindaco di Bassano del Grappa (Vicenza), Riccardo Poletto, ha emanato un’ordinanza per vietare l’uso dell’acqua potabile per innaffiare orti e giardini o riempire piscine private, lavare le automobili, pulire gli spazi esterni. “No agli sprechi”, è l’imperativo.

In alcune zone tra le due province emiliane, c’è bisogno delle autobotti messe a disposizione dal governo insieme a 8 milioni e 600mila euro per fronteggiare l’emergenza anche per garantire l’acqua potabile. D’altronde il calo delle precipitazioni è arrivato al 50% rispetto alla media, mentre la falda acquifera è agli sgoccioli: è al di sotto di 1,26 metri. In Toscana il presidente della Regione Enrico Rossi ha firmato la dichiarazione di stato d’emergenza il 16 giugno. Preoccupano l’Autorità idrica toscana i bacini della Lunigiana. I terreni aridi, poi, rischiano di favorire gli incendi: il 20 giugno i vigili del fuoco sono intervenuti 72 volte in Maremma. Sulla stessa scia, la Sardegna ha chiesto al ministro Martina la dichiarazione dello stato d’emergenza.

Le ormai frequenti situazioni di emergenza confermano come la gestione delle risorse idriche vada migliorata. Un primo problema è dovuto al fatto che la domanda si concentra nei mesi estivi: sarebbe necessario applicare un concetto di sviluppo sostenibile al governo delle risorse idriche, riducendo la domanda e le pressioni nei confronti delle risorse disponibili, incrementando l’efficienza negli usi.