di Caterina Mangia

Tante idee, tasche (semi)vuote.
L’immagine stereotipata degli italiani, creativi ma sempre alle prese con il lunario da sbarcare, viene confermata da un’indagine realizzata dall’Osservatorio Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano e presentata oggi presso l’Auditorium di Assolombarda. Secondo lo studio il nostro Paese ospita il 30 per cento delle startup europee operanti nel settore delle nuove tecnologie produttive e della Quarta Rivoluzione Industriale, ma non le foraggia come il resto del Vecchio Continente.
L’Italia può infatti vantare di accogliere sul territorio nazionale 24 delle 80 startup presenti in territorio comunitario – ne sono esempi le soluzioni IoT e di Advanced Hmi di Idx a Trieste, la soluzione IoT per la localizzazione indoor degli operatori addetti alla manutenzione 4.0 di GiPStech a Cosenza -, ma purtroppo inciampa sul tema dei finanziamenti medi.
C’è poi chi fa meglio di noi e della stessa Europa, sia dal punto di vista della nascita di nuove realtà industriali sia da quello delle risorse: con 136 imprese operanti nell’Industria 4.0, il Nord America si conferma patria “ideale” delle startup, anche perché, come scritto nella ricerca, “i finanziamenti medi delle startup nordamericane sono maggiori oltre tre volte rispetto alle cugine europee”: si parla di una cifra di 10,9 milioni di dollari medi, a fronte dei 2,9 milioni continentali.
Tornando al nostro Paese, la buona notizia contenuta nella ricerca è che il mercato italiano riguardante i progetti di Industria 4.0 corre: nel 2016 il suo valore si aggira intorno a 1,7 miliardi di euro, di cui l’84 per cento realizzato verso imprese italiane e il resto come export.
Il mercato è inoltre in crescita del 25 per cento, “anche se il vero potenziale appare ancora nascosto” perché “alcune imprese per definire gli investimenti hanno atteso la pubblicazione del Piano Nazionale Industria 4.0 e dei chiarimenti fiscali collegati”.
Infine, in riferimento al primo trimestre appena trascorso, le imprese stimano un tasso di crescita del 30 per cento rispetto al 2016.  “Se questi numeri saranno confermati a fine anno – è scritto nella ricerca -, in due anni l’Italia avrà quasi raddoppiato gli investimenti per la trasformazione digitale, recuperando il ritardo rispetto alle situazioni internazionali più mature, con il rischio concreto però di un eccesso di domanda rispetto alla capacità di consegna dei fornitori”.