Un semplice zero virgola in più non significa “vera” crescita. I dati diffusi oggi dall’Istat sul miglioramento del Mezzogiorno vanno letti in questa chiave, perché sebbene un miglioramento ci sia, il divario con le regioni del Nord e del Centro resta sempre abissale.
Il pil nel Mezzogiorno è aumentato dello 0,9% mentre l’occupazione è cresciuta dell’+1,6%: dati che non indicano una vera inversione di tendenza, visto che le regioni meridionali restano in termini di occupazione e sviluppo il fanalino di coda del nostro paese.
Parlare però di “un significativo recupero” come fa l’Istat, sembra davvero un po’ azzardato. Bisogna tenere presente infatti che il Sud fa i conti con dei ritardi accumulati che, negli anni di crisi, si sono ampliati sensibilmente. Proprio oggi è la l’Ufficio studi di Confcommercio infatti a spiegare che ad oggi il pil pro capite del Mezzogiorno è pari al 56,6% di quello del Centro-nord.
Per non parlare poi della crescita occupazionale perché, come ben si sa, non bisogna guardare solo ai numeri, ma anche la qualità del lavoro, caratterizzata da una precarietà dilagante. E’ di qualche giorno fa lo studio realizzato dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, che mette in luce le difficoltà che ancora persistono in termini occupazionali e sociali, soprattutto al Sud: tra il 2008 ed il 2015 oltre 380mila meridionali hanno deciso di trasferirsi in una regione del centro-nord in cerca di una migliore occupazione lavorativa. Un dato che si somma a quello dell’emigrazione all’estero, altro fenomeno che negli ultimi anni ha fatto registrare un sensibile incremento. Nel documento, si conferma quanto già rilevato dallo stesso osservatorio nel rapporto annuale sulle dinamiche del mercato del lavoro nelle province italiane, in cui si affermava che le possibilità occupazionali nelle 110 aree provinciali italiane si differenziano enormemente da Nord a Sud. Si passa, infatti, da un tasso di occupazione del 37% nella provincia di Reggio Calabria ad un tasso del 72% nella provincia di Bolzano.
Ad onor di cronaca, l’analisi dell’Istituto nazionale di statistica spiega che nel Mezzogiorno l’aumento del valore aggiunto è stato più marcato nell’industria (+3,4%) e nel settore che raggruppa commercio, pubblici esercizi, trasporti e telecomunicazioni (+1,4%). Hanno segnato un incremento modesto i servizi finanziari, immobiliari e professionali (+0,3%) e gli altri servizi (+0,2%). Si registrano cali per l’agricoltura (-4,5%) e, in misura molto limitata, per le costruzioni (-0,1%).
Insomma, che si tratti di dati positivi è indiscusso ma, come ha spiegato anche il ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda “sono insufficienti a generare
un benessere diffuso, a creare crescita e sostenibilità del debito poderoso che abbiamo. Quindi, siamo molto contenti di non essere dove eravamo, visto che abbiamo avuto una doppia recessione più pesante di quella degli altri paesi Ue, ma è ancora un percorso lungo, molto complesso. E’ se il Pil cresce del +0,1% o del -0,1% il lavoro che abbiamo da fare resta lo stesso ed è enorme”. La strada da fare è ancora molto lunga.