di Nazzareno Mollicone

Il sindacato, e l’Ugl in modo particolare, sostiene da tempo la necessità che il principio della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende sia finalmente introdotta, dopo decenni di mancata applicazione del noto articolo 46 della Costituzione.
Questa concezione tuttavia si sta diffondendo tra i lavoratori, sia in generale allo scopo di intervenire nelle occasioni di scorpori, cessioni e trasferimenti all’estero delle aziende sia soprattutto nel particolare momento di una crisi aziendale con la possibilità della chiusura e della disoccupazione. Lo dimostra un recente sondaggio effettuato dalla società di indagini delle opinioni “Swg” su commissione della Cna (Confederazione Nazionale dell’Artigianato) e pubblicato dal “Corriere della Sera”.
Alla domanda: “quando un’azienda è in crisi, cosa dovrebbe esser fatto?”, il 53% dei lavoratoriinteressati ha risposto “creare una cooperativa tra i dipendenti per continuare l’attività” ed il 14% ha detto di volere la sua nazionalizzazione, mediante l’acquisizione da parte dello Stato. Il resto degli intervistati o non sa cosa rispondere o – solo il 12% (probabilmente lavoratori altamente specializzati o tecnici che potrebbero facilmente trovare un altro lavoro) – ha risposto che essa va lasciata fallire.
E’ stata poi posta un’altra domanda, così formulata: “quando un’impresa entra in crisi, chi può risanarla in modo efficace senza creare grossi problemi occupazionali?” il 34% ha risposto “lagestione diretta da parte dei lavoratori”, mentre un altro 49% si rifugia nell’acquisizione o ristrutturazione da parte di un’altra impresa del settore ovvero mediante l’arrivo di capitale straniero.
Certamente questo sondaggio è solo indicativo, però dimostra a sufficienza e con elevate percentuali la volontà dei lavoratori di assumere direttamente la gestione dell’impresa e comunque collaborare a mantenerne l’unità, la presenza e la produzione.
E’ questo un messaggio da tenere sempre presente laddove si parla di cessioni ad imprese straniere, a trasferimenti all’estero (“delocalizzazioni”), a “spezzatini”. Il caso ancora pendente dell’Alitalia c’insegna anche che non basta insediare un consiglio di amministrazione composto da finanzieri e presunti esperti del settore: esso va integrato con una rappresentanza qualificata dei lavoratori che, essa sola, conosce dal vivo e dalla base i veri problemi organizzativi e programmatici dell’azienda.