di Annarita D’Agostino

Niente più latte di soia o burro di tofu negli scaffali dei supermercati europei: i prodotti vegetali non possono essere commercializzati con i nomi dei prodotti di origine animale. Ad annunciare la rivoluzione, non solo linguistica, è la Corte di giustizia dell’Unione europea che, interpellata dal giudice tedesco in merito all’interpretazione del diritto europeo, ha affermato come i prodotti puramente vegetali non possano, in linea di principio, avere denominazioni come “latte”, “crema di latte o panna”, “burro”, “formaggio” e “yogurt”, anche quando tali denominazioni siano completate da indicazioni sull’origine vegetale del prodotto, perché il diritto dell’Unione riserva questi nomi ai prodotti di origine animale.
La decisione arriva nella causa che vede coinvolto un produttore di alimenti vegetariani e vegani, la società tedesca TofuTown, che commercializza prodotti con le denominazioni “Soyatoo burro di tofu”, “formaggio vegetale”, “Veggie-Cheese”, “Cream” e simili. A citarlo in giudizio, l’associazione tedesca Verband Sozialer Wettbewerb, ritenendo che l’uso di questi nomi configurasse una fattispecie di concorrenza sleale.
La Corte spiega che “tale interpretazione della normativa di cui trattasi non confligge né con il principio di proporzionalità né con il principio di parità di trattamento”. Per quanto riguarda la proporzionalità, “l’aggiunta di indicazioni descrittive o esplicative non può escludere con certezza qualsiasi rischio di confusione nella mente del consumatore”. Sulla parità di trattamento, la Corte di Strasburgo afferma che la TofuTown non può invocare una disparità di trattamento rispetto ai produttori di alimenti lattiero-caseari perché si tratta di prodotti dissimili, soggetti a norme diverse.
Esultano i produttori di ‘vero’ latte e formaggi: “è importante questa conferma – afferma all’Ansa il direttore di Assolatte, Massimo Forino -, è da decenni infatti che la Ue riserva per regolamento denominazioni come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’ ai prodotti di origine animale”. La Ue fa eccezione per le denominazioni “latte di mandorla”, “latte di cocco” e “burro di cacao” “perché – continua – sono denominazioni tradizionali e non hanno nulla di evocativo”. Invece per Assolatte “il problema è che il mondo dei prodotti vegetali si vuole impossessare di nomi che non sono loro”.
“C’è un altro tema su cui si discute – conclude il direttore di Assolatte – e su cui il ministero dello Sviluppo economico già ci ha dato ragione, ed è il fatto che non è corretto che questi prodotti di origine vegetale si propongano come alternativi ai nostri, in quanto sono veramente altri prodotti, con diversa composizione e valori nutrizionali del tutto diversi e non confrontabili”. Ancora più dura la posizione di Coldiretti: “inganna i consumatori e fa chiudere le stalle la confusione generata dall’uso della parola latte per bevande vegetali, come quello di soia, che hanno raggiunto in Italia un valore al consumo di 198 milioni con un incremento del 7,4% nell’ultimo anno”. Un mercato spinto dalle intolleranze “ma alimentato anche dalle fake news diffuse in rete – scrive l’associazione -, secondo le quali il latte sarebbe dannoso perché è un alimento destinato all’accrescimento di cui solo l’uomo, tra gli animali, si ciba per tutta la vita. In realtà il latte di mucca, capra o pecora rientra da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte”.
I prodotti vegetariani e vegani, sottolinea la Coldiretti, “non possono pertanto essere chiamati con nomi di alimenti di origine animale, in particolare latticini, ponendo fine ad un inganno che riguarda il 7,6% di italiani che segue questo tipo di dieta”.