di Francesca Novelli

Si chiama smart working o, in italiano, lavoro agile ed è approdato nella Pubblica amministrazione, ‘luogo’ che è ancora in attesa un contratto di lavoro. Ma non è una vera novità, prima si chiamava ‘telelavoro’ e nella Pa non è mai decollato.
Secondo le previsioni del il governo, lo smart working porterà ad una riduzione dei tassi di assenza dal lavoro; aumento della produttività individuale e del livello di benessere organizzativo complessivo; riduzione dei costi di gestione e alla diffusione del senso di appartenenza e del coinvolgimento dei singoli rispetto alla ‘mission’ istituzionale; riorganizzazione degli spazi e l’ammodernamento della dotazione informatica. Una ‘sfida’ che coinvolgerà almeno il 10% dei dipendenti, entro tre anni. Se tutto va bene: in passato il telelavoro non ha funzionato perché lo stipendio a fine mese diminuisce.
A pensarci bene, sembrerebbe nulla di nuovo: la filosofia sottostante è sempre il ‘taglio’ e la ‘riduzione’, solo quello, come d’altronde è avvenuto in questi anni di miope pareggio di bilancio, salvo poi accorgersi che lo Stato non funziona o non è efficiente. La rivoluzione dello ‘smart working’ inoltre non è a costo zero perché spetta allo Stato dotare il lavoratore degli opportuni strumenti informatici attraverso i quali lavorare, essere controllato, e collegarsi da casa con la rete della Pubblica amministrazione. Il costo è stato calcolato? Non solo, nella maggior parte degli uffici della PA non sono esiste sufficiente dotazione di strumenti e mezzi informatici idonei, a volte non c’è neanche la carta per la stampante e la stampante stessa, difficile credere che da oggi si possa immaginare una nuova rivoluzione.
Ma torniamo al punto e alle buone intenzioni, secondo il governo si tratta di una nuova modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che consente di lavorare in modo flessibile nel rispetto degli obiettivi prefissati, in attuazione della famigerata direttiva emanata dal Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio guidato dal ministro Marianna Madia.
La riforma Madia prevede infatti che le amministrazioni pubbliche, al fine della promozione della conciliazione di vita e di lavoro, “adottino misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione anche al fine di tutelare cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa.
Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, presentando, insieme al sottosegretario alla presidenza del consiglio, Maria Elena Boschi, la direttiva sullo smartworking nella PA, ha voluto specificare che sarà una scelta “volontaria” e “non ci saranno penalizzazioni né pregiudizi di carriera”, ha precisato la ministra. Quello che conta, ha sottolineato, “non sono solo le ore lavorate, la cosa importante sono i risultati”. Già, ma lo stipendio?