Per Ilva la priorità resta quella di salvaguardare l’occupazione. Non usano mezzi termini i rappresentanti sindacali dei metalmeccanici di Ugl, Cgil, Cisl e Uil al temine dell’incontro con il governo che si è svolto a Palazzo Chigi.
Al tavolo, il premier Gentiloni ha comunicato la disponibilità della cordata Am Investco di rivedere al ribasso il numero degli esuberi annunciati da circa 5.500 a 4.200, mantenendo quindi gli addetti dei siti produttivi costanti a quota 10.000 rispetto ai 14.200 oggi in organico (invece dei 9.407 di inizio piano e di 8.480 inizialmente previsti a fine piano nel 2024).
“Noi pensiamo di aver fatto molto – ha detto Gentiloni – e ho visto un lavoro importante. Ora abbiamo un percorso su cui il governo mette tutto il proprio peso in termini di garanzie occupazionali, di salute e di ambiente e per ciò ritiene utile il confronto con voi, con gli aggiudicatari e con i commissari”. Forse, però, il premier sa che questo “impegno” deve essere costante altrimenti i risultati potrebbero risultare davvero deludenti. “Pensiamo di aver fatto molto – ha spiegato -, sicuramente non è detto che questo debba essere considerato sufficiente”, ma “io me ne sono occupato negli ultimi mesi e ho visto il lavoro fatto dai commissari, dalle organizzazioni sindacali, dalle autorità locali”.
Eppure, sebbene ci sia la disponibilità a rivedere al ribasso il numero degli esuberi, le cifre restano ancora troppo alte per i sindacati che, prendendo comunque atto del cambiamento del quadro, hanno ribadito che nessun accordo è possibile se ci saranno licenziamenti, chiedendo al governo il massimo sostegno nella trattativa che si apre ma anche garanzie e chiarezza sul piano industriale, in particolare per quanto riguarda il processo di risanamento ambientale e per quanto riguarda la salvaguardia dei posti di lavoro.
“E’ una vertenza molto complessa e molto complicata”, ha detto il segretario nazionale dell’Ugl Metalmeccanici, Antonio Spera, “e credo che prima della fine di settembre non se ne esca fuori. Le tre priorità per noi sono ambiente salute dei cittadini e dei lavoratori; intera occupazione sia dei lavoratori diretti e indiretti e un piano industriale dettagliato stabilimento per stabilimento”.
Sulla stessa linea riferito il numero uno della Fim-Cisl, Marco Bentivogli: “il governo si è detto pronto a modificare la legge Marzano in modo di riaffidare la proprietà all’amministrazione straordinaria nel caso che l’acquirente si mostri inadempiente sugli investimenti. Restano perplessità ora attendiamo il confronto con la nuova proprietà. Chiediamo al Governo di fare la sua parte insieme al sindacato perché gli investimenti siano reali e concreti”.
La Uilm chiede al governo di “non essere spettatore ma di stare dalla nostra parte”. “Tutti i lavoratori – ha detto Rocco Palombella – devono essere ricollocati. La trattativa sarà difficile, ci vorrà grande senso di responsabilità”. A preoccupare i sindacati sono anche i tempi degli investimenti: “sono lunghissimi. Il nuovo alto forno dovrebbe entrare in funzione nel 2024 “, sottolinea il leader della Fiom, Maurizio Landini. “Non vorremmo che l’operazione più che aumentare la capacità produttiva dell’Ilva sia stata programmata per ottenere solo quote di mercato. Un’eventuale riduzione della capacità produttiva avrebbe conseguenze drammatiche anche per l’indotto e non solo a Taranto”.
Oltre al nodo occupazionale, però, c’è da riflettere anche sulla produzione. Secondo quanto scrive il reportage pubblicato su Affari&Finanza “il piano di Am Investco lascia diversi nodi irrisolti, primo tra tutti l’aumento programmato della produttività da realizzare con importazioni da altri impianti europei di Arcelor Mittal su cui pende anche una procedura dell’Antitrust Ue”. Il quotidiano si riferisce “alle mosse dell’Autorità per la concorrenza di Bruxelles che ha messo sotto osservazione l’operazione, per verificare se Arcelor non rischi di agire in regime di assoluto monopolio”.
C’è poi il tema degli investimenti, Am Investco sostiene infatti “di voler fare di Ilva uno dei principali nodi di produzione nel mondo”, e l’intenzione della cordata di puntare “sulla rete commerciale di Arcelor. E in particolare sui settori dell’automotìve, delle costruzioni, dei mezzi pesanti e del packaging”. Ricorda il quotidiano, però, che si tratta di “un piano che in parte era stato già bocciato dai consulenti dei commissari che avevano definito “incoerenti” alcune soluzioni, notando una discrasia tra i livelli di produzione e occupazione promessi e gli effettivi interventi sulla filiera produttiva”. Davanti a tutti questi punti di domanda, al momento si può solo aspettare.