Il decreto legislativo con il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica,  aveva annunciato il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, sarà esaminato dal Cdm in tempi stretti per il via libera definitivo.

Il giorno è arrivato: si tratta del sì definitivo al taglio diretto alle società partecipate.

La razionalizzazione delle società partecipate da enti pubblici finirà, però, per essere molto più soft rispetto alle promesse e allo slogan renziano ‘da 8mila a mille’: a chiudere di sicuro i battenti saranno circa 3mila aziende.

In forse anche i risparmi sugli stipendi dei consiglieri, visto che già la prima versione del decreto bis aveva rimesso ai soci la scelta sulla sostituzione del cda a 3 o 5 membri con un amministratore unico. Per prima cosa, fino al 2020 quelle con un fatturato compreso tra 500mila euro e 1 milione non dovranno chiudere i battenti, come prevedeva, invece, la prima versione del testo.

Quelle che gestiscono casinò saranno poi del tutto immuni dalla sforbiciata (si tratta dei quattro casinò italiani: quelli di Venezia, Sanremo, Campione d’Italia e Saint-Vincent. Nella versione precedente, invece, le sale da gioco erano soggette agli stessi requisiti di tutte le altre). E le partecipate di Comuni e Regioni, se non in rosso, potranno partecipare a bandi per la gestione di servizi pubblici (dai trasporti al gas ai rifiuti) anche fuori dai confini del territorio di riferimento. Ciliegina sulla torta, slitta dal 30 giugno al 30 settembre il termine per l’avvio dei piani di razionalizzazione. Le maglie insomma si allargano ancora, insomma, dopo che già la prima versione del decreto correttivo aveva concesso ai governatori la facoltà di escludere discrezionalmente singole società dalla riforma (scelta censurata dal Consiglio di Stato) e rimesso ai soci la scelta virtuosa sulla sostituzione del cda con un amministratore unico. In origine, il testo prevedeva al contrario che sarebbe stato un decreto del Tesoro a stabilire in quali casi eliminare i consiglieri e i relativi emolumenti. Per quanto riguarda la soglia di fatturato medio triennale sotto la quale sarà obbligatoria la chiusura, le autonomie avevano chiesto di dimezzare stabilmente il tetto a 500mila euro, mentre alla fine si è trovato l’accordo prevedendo un periodo ponte di tre anni dopo il quale l’asticella tornerà a 1 milione.

Le scatole vuote, le microsocietà, quelle con più dipendenti che amministratori avrebbero le ore contate.

I correttivi rientrano nella condivisione della nuova normativa con gli enti territoriali, così come previsto dalla Corte costituzionale che ha giudicato insufficiente il parere. Ecco perché  il “taglia-partecipate” bis è dovuto passare in Consiglio dei ministri per poi ripetere tutto l’iter, questa volta per acquisire l’intesa con gli enti territoriali e di nuovo i pareri, inclusi ovviamente quelli parlamentari. Finito il giro è ritornato in Cdm per il via libera definitivo.

I tagli apporteranno risparmi consistenti difficili però da quantificare: stime non ufficiali  vedono l’asticella aggirarsi intorno al miliardo di euro.

Il ministro Madia, in un video postato di  recente su Twitter ha spiegato che il taglio “porterà a un  risparmio di circa 300 milioni sui minori compensi, 600 milioni  sulle dimissioni, per un totale di circa un miliardo”, stime dell’ex commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli, alla  mano.

All’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi  una serie di decreti legislativi, tra cui quelli in materia di contrasto alla povertà. Si tratta di un decreto che attua la delega approvata a marzo e segue il Memorandum d’intesa firmato ad aprile dal premier Paolo Gentiloni. La misura, Reddito d’inclusione (Rei), si rivolge a una platea di 400 mila famiglie, pari a circa 1,8 milioni di persone. Il Rei sostituisce il Sostegno all’inclusione attiva

 

Le tappe della ‘sforbiciata’

La roadmap per la messa a punto dei tagli e’ scandita in  diverse tappe e prevede anche una serie di misure attuative. Il  lavoro non termina con il via libera del Cdm. Bisogna,  per esempio, fissare dei nuovi tetti per gli stipendi.

Aspetto  su cui le Regioni hanno chiesto e ottenuto voce in capitolo. Le  fasce retributive che abbasseranno ancora i limiti attuali  dovranno essere così essere concordate e dunque ci vorrà del tempo.