di Claudia Tarantino

In Italia ormai la sanità non è più per tutti. Se non si hanno i soldi per pagarsi visite, esami e farmaci, o si rinuncia a curarsi o le prestazioni sanitarie si rinviano, per quanto possibile, a tempi migliori.
Ma attenzione, non si parla solo di sanità privata e di prezzi, talvolta davvero proibitivi, di cure e assistenza. Il problema riguarda anche la sanità pubblica che, con lunghe liste di attesa, ticket e superticket sempre dietro l’angolo, costringe a mettere continuamente mano al portafogli.
Il risultato, con buona pace dell’universalismo delle cure, è che molti italiani si sono impoveriti, hanno fatto debiti con parenti, amici o banche pur di accedere a servizi che avrebbero invece dovuto essere ‘garantiti’.
È una fotografia impietosa quella scattata dal Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute sulla sanità pubblica, privata e integrativa, i cui risultati sono stati presentati a Roma, a Palazzo Colonna, in occasione del Welfare day 2017.
Osservando i dati, infatti, si nota come sia salita a 35,2 miliardi di euro la spesa di tasca propria per la sanità e come l’area della sanità ‘negata’ continui ad espandersi: nell’ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie, 1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente.
Sanità ‘negata’, appunto, perché inaccessibile alle famiglie che non hanno i soldi per pagarla. Ma anche “sistemi sanitari sempre più divaricati, – si legge nel Rapporto – ed opportunità di cura per i cittadini sempre più differenziate”.
La conseguenza sociale è un gorgo di difficoltà e disuguaglianze crescenti che risucchiano milioni di persone. “Sono 13 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno sperimentato difficoltà economiche e una riduzione del tenore di vita per far fronte a spese sanitarie di tasca propria, 7,8 milioni hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o con le banche, e 1,8 milioni sono entrati nell’area della povertà”.
Altrettanto impietoso lo scenario descritto dal Rapporto Oasi, diffuso dall’Università Bocconi, secondo cui “ormai al Sud si vive tre anni in meno rispetto al Nord”. La spesa sanitaria privata, infatti, pesa maggiormente su chi già ha di meno, vive in territori disagiati e ha più bisogno di curarsi. Fra i cittadini che hanno dovuto affrontare spese di tasca propria, appunto, hanno incontrato difficoltà economiche il 74,5% delle persone a basso reddito (ma anche il 15,6% delle persone benestanti), il 21,8% al Nord, il 35,2% al Centro, fino al 53,8% al Sud. E hanno avuto difficoltà il 51,4% delle famiglie con al proprio interno una persona non auto-sufficiente.
Per il presidente di FederazioneSanità e di Osa, Giuseppe Milanese occorre “smettere di parlare solo di spesa sanitaria e incominciare ad analizzare come sono impiegate le risorse: nel 2015 l’Italia per la prima volta ha raggiunto un equilibrio di bilancio e un avanzo di 346 milioni, pari allo 0,3% delle risorse correnti. E da qui bisogna ripartire per progettare un nuovo sistema”.
A quanto pare, solo un modello low profit e cooperativo sarebbe in grado di garantire una sanità non selettiva. Peccato, però, che il basso profitto non attiri mai abbastanza investitori.