di Claudia Tarantino

Per quanti problemi possa avere il nostro Sistema Sanitario Nazionale, la carenza di organico e posti letto, l’esiguità delle risorse ed il difficile mantenimento dei Lea, è comunque tra i migliori ed è in grado di garantire una prestazione, l’anestesia, che durante un intervento o un atto medico che la richieda, è un’indispensabile pratica clinica.
Cosa non così scontata in altri Paesi del mondo, soprattutto quelli più poveri, sprovvisti di personale formato e numericamente inadeguato a servire la popolazione di riferimento.
E’ quanto emerge dalla prima mappa della distribuzione globale della forza lavoro in questo campo, realizzata dai membri della World Federation of Societies of Anaesthesiologists (WFSA), la federazione mondiale di tutte le società di anestesiologia, e disponibile come strumento online per la comunità medico-scientifica globale, che fotografa una situazione di crisi, con un elevato numero di Paesi con una dotazione di anestesisti inferiore a 5 per 100 mila persone. “Significa qualcosa come 5 miliardi di individui che non hanno un appropriato accesso a questo tipo di assistenza medica e chirurgica”.
La mappa mostra discrepanze enormi nella densità di anestesisti dei Paesi ricchi e di quelli più poveri: ad esempio la Germania ha una densità di anestesisti 35 volte maggiore della Repubblica Democratica del Congo; gli Usa 50 volte maggiore dell’Indonesia, nonostante questi Paesi abbiano una popolazione molto simile. Ad esempio, in Usa ci sono 100.000 anestesisti per una popolazione di 323,9 milioni di individui, mentre in Indonesia solo 1.950 per 258,3 milioni.
Naturalmente, affinché l’anestesia sia sicura, è necessario personale qualificato e formato, ma – secondo la ricerca – “in gran parte dell’Africa sub-sahariana e del Sud-Est Asiatico, è comune trovare un rapporto di meno di 1 anestesista formato su 100.000 individui. Nei Paesi ricchi, invece, è comune una densità di 20 per 100.000 o maggiore, e vi è una mortalità bassissima imputabile all’anestesia: nei Paesi poveri vi sono tassi di mortalità 1.000 volte più alti legati a questa indispensabile pratica clinica”.