di Claudia Tarantino

Palermo, come il resto d’Italia, oggi celebra il 25esimo anniversario della strage di Capaci in cui furono uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Ma il pensiero va anche al 19 luglio ’92, alla strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Al Porto è arrivata la ‘nave della Legalità’, con a bordo oltre mille studenti provenienti da tutta Italia. Nell’aula bunker del carcere Ucciardone, un convegno con il capo dello Stato, il presidente del Senato, i ministri dell’Istruzione e dell’Interno. A piazza Magione, i ‘Villaggi della Legalità’. Nel pomeriggio, due cortei con destinazione l’Albero Falcone, davanti la casa del magistrato, in via Notarbartolo.
Tante, come ogni anno, le manifestazioni in programma, non solo nel capoluogo siciliano, per ricordare chi ha creduto nello Stato, nella giustizia, nell’onestà ed è diventato simbolo di un riscatto che però, ad oggi, non è ancora del tutto compiuto. Come ricorda Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni, a margine delle commemorazioni nell’aula bunker a Palermo: “I nostri magistrati, – ha detto – appoggiati dalla società civile, hanno dato grandi colpi alla mafia, ma non abbiamo detto che abbiamo vinto. E questi colpi di coda, come quello di ieri (l’omicidio del boss Giuseppe Dainotti, ndr) ci dimostra che ancora continua ad esserci una forza della mafia”.
La mafia, infatti, in qualunque forma si presenti e attraverso qualsiasi attività illegale si declini, è sempre pronta a riemergere, approfittando delle difficoltà in cui si dibatte la società, acuite dalla crisi.
“A qualcuno ha fatto paura la nomina di Falcone a procuratore nazionale antimafia” dice Giuseppe Costanza, autista di Giovanni Falcone e sopravvissuto alla strage di Capaci, parlando agli studenti a bordo della Nave della legalità. “Sono trascorsi 25 anni” da quel 23 maggio 1992. Allora “avevo 45 anni, oggi ne ho 70. Prima che i miei occhi si chiudano, spero di sapere altre verità” su quanto accaduto quel giorno “e di guardare in faccia chi ha fatto questo: non merita niente”.
La morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino rappresenta una ferita non solo per la Sicilia, ma per tutta l’Italia.
“Quando ero davanti alle bare dei miei amici ho giurato che il loro sacrificio non sarebbe stato vano, mai”. E’ la testimonianza del presidente del Senato, Pietro Grasso, che ricorda come il lavoro di Falcone sia oggi visibile negli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata “che immaginasti e che ci hanno consentito di ottenere grandi successi”; negli uomini e nelle donne dello Stato “che continuano a cercare la verità e a non arrendersi alle ingiustizie”; negli occhi e nell’entusiasmo delle ragazze e dei ragazzi “che, festanti, scendono in piazza in tuo onore e rinnovano il loro impegno per la legalità”.
Ma, per cambiare una società ci vuole tempo. Ecco perché occorre diffondere una cultura della legalità in tutti gli ambienti, in politica, nella pubblica amministrazione, dovunque, non solo a scuola.