di Giovanni Magliaro

Ci hanno ingannato tutti, chi più chi meno, per oltre venti anni. Ci hanno promesso l’età dell’oro e dello sviluppo, della crescita e della conoscenza, del benessere per tutti e dei benefici strabilianti che sarebbero caduti come una manna dal cielo sull’umanità.
Da tempo abbiamo avuto un amaro risveglio, tanto più amaro per chi si era illuso di più. Abbiamo capito che la favola della globalizzazione, del libero mercato universale che da solo avrebbe costruito un mondo migliore (raccontataci in tutte le salse possibili dai pulpiti della grande informazione internazionale, da “quelli che sanno e che contano”) , ha lasciato il posto ad una realtà più triste di qualsiasi immaginazione. I sogni sono andati in pezzi, la democrazia e la politica sono state svuotate, milioni di vite sono state travolte, la povertà mondiale è aumentata, le diseguaglianze tra le classi sociali sono diventate senza precedenti nella storia dell’uomo, i livelli di disoccupazione specie giovanile sono allarmanti, il nostro futuro è nelle mani della grande finanza e degli algoritmi di cui si serve. Non è casuale che di questo caos voluto planetario entrino a far parte il terrorismo e le immense migrazioni che stanno scuotendo il nostro continente.
E’ di qualche consolazione constatare che eravamo tra quelli che credevano meno a queste promesse provenienti da quel neoliberismo che conoscevamo bene storicamente e che avevamo sempre combattuto?Misera consolazione perché tra queste macerie che ci circondano non possiamo certo appagarci nel dire “l’avevamo detto”.
Diventa interessante leggere adesso libri di denuncia e di critica feroce, magari di autori che sono esponenti della grande finanza e che quindi possono raccontare bene cosa succede in quegli ambienti così “riservati”. E’ il caso del recente libro Tutto è in frantumi e danza, di Guido Brera e di Edoardo Nesi, edizioni La nave di Teseo. Il primo è uno dei più importanti (e ricchi) manager della finanza, gestisce patrimoni per conto di grandi investitori e agisce sui mercati azionari di tutto il mondo. Il secondo è un ex imprenditore travolto dalla caduta dell’industria tessile di Prato a causa dell’arrivo della concorrenza sleale cinese portata in Italia dalla globalizzazione.
Fa riflettere il rimpianto degli autori per cosa si è perduto. “Quando eri certo che il futuro sarebbe stato migliore del presente. Quando sapevi che i tuoi figli avrebbero trovato lavoro a un chilometro da casa. Quando potevi sognare senza sembrare un illuso. Quando dovevi sforzarti per accorgerti della disoccupazione. Quando il terrorismo sembrava un relitto del passato. Stavamo per andare a vivere in un mondo unico, in cui le piccole aziende non chiudevano, le banche non fallivano, centinaia di migliaia di persone non perdevano il lavoro e non si moriva affogati pur di venire in Italia.”
Di questo libro, comunque molto interessante proprio perché è come  aprire la scatola nera di una macchina (quella della finanza),  vanno sottolineati alcuni punti.
Brera da gestore dei soldi altrui ha scommesso sui mercati azionari e non si è chiesto ovviamente se fosse giusto o no puntare contro un’azienda. Ma quando c’è stata la crisi della Grecia si è trovato ad investire contro uno Stato. Poteva perdere i soldi dei suoi clienti e quindi era obbligato a vendere i Bond greci perché rischiavano di fallire. Quello, dice Brera, è stato il passaggio storico in cui la finanza è diventata soggetto politico. Non era Papandreu a governare la Grecia ma lui e quelli come lui. Vendevano i titoli greci e la Grecia era costretta a fare le riforme e mettere in ginocchio i suoi cittadini per non fallire. Ma uno Stato non dovrebbe poter fallire perché gli Stati in difficoltà stampano moneta come ha fatto l’America dopo Lehman Brothers scongiurando la crisi. La follia dell’Europa è che è composta di Stati che, se serve, non possono stampare moneta.
Altro punto da sottolineare. L’evento più dirompente che ha mandato in crisi la nostra economia. Per entrambi gli autori è l’ingresso della Cina nella World Trade Organization nel 2001. E’ stato un ingresso senza contropartite, un errore colossale storico di tutti : economisti, politici, giornalisti. Nelle aziende i costi più importanti sono quello fiscale e quello del personale (noi aggiungeremmo quelli per la tutela ambientale e della macchina burocratica). La Cina, affermano gli autori, è come un’azienda a cui è stato consentito di abbattere drammaticamente questi due costi. In altri termini si è consentita una gravissima disparità che si è tradotta in una concorrenza sleale di cui siamo vittime. Ci sono stati anche altri eventi che vanno ricordati. L’abolizione da parte di Bill Clinton del Glass SteagallAct che dopo la crisi del 1929 distingueva le banche commerciali da quelle d’investimento e non consentiva le operazioni finanziarie spericolate che hanno prodotto le crisi bancarie che conosciamo (come, tra l’altro, la bolla immobiliare americana e il crac di Lehman Brothers del 2008).
L’economista Federico Caffè aveva teorizzato “lo scambio politico”, il patto che deve esistere tra le classi più deboli e i ceti dominanti per garantire a ciascuno un futuro migliore o, nel peggiore dei casi, il mantenimento delle condizioni presenti. Oggi questo patto è saltato. Oggi siamo allo “scambio masochista”.
“Potremo dire di essere usciti dalla crisi – sostiene Brera – quando i vincitori capiranno che il mondo è un sistema unico in cui devono condividere i proventi con i vinti”.
Questa conclusione appare un po’ utopistica, quasi quanto l’utopia dellaglobalizzazione miracolosa. L’egoismo e l’avidità della grande finanza internazionale, il cui obiettivo è solo quello di accrescere senza fine la propria ricchezza e il proprio potere passando sopra a tutto e sopra a tutti senza alcuno scrupolo, sembrano poco conciliabili con l’idea di “condivisione”. Più realisticamente c’è da augurarsi che le tremende contraddizioni che scuotono sempre di più questo sistema finanzcapitalistico alla fine lo facciano crollare dall’interno e che sulle sue macerie si possa ricostruire un futuro più giusto e più umano.