di Barbara Faccenda

Il fenomeno dei foreign fighters è una delle questioni più urgenti di sicurezza contemporanea. Per affrontare questo fenomeno è necessario basarsi su una comune comprensione del problema a cominciare dalla definizione: “non-cittadini di stati in conflitto che si uniscono ad insorti (o gruppi estremisti) durante guerre civili”. (David Malet, Foreign Fighters, Oxford University Press,2013)

Senza ombra di dubbio il numero di foreign fighters che si sono recati in Siria o in Iraq per unirsi a gruppi estremisti come lo “Stato islamico” (IS) è senza precedenti. Non è soltanto il grande numero che sciocca, ma la varietà di Stati dai quali provengono. Una stima totale ci mostra cifre che vanno dai 20 ai 30 mila, con approssimativamente 3500 che provengono dai paesi occidentali. IS nel complesso ha qualcosa come un centinaio di migliaia di fighters, di cui un quarto del totale proviene dall’estero. Quello che è sbalorditivo è il fatto che paesi non storicamente “associati” con i foreign fightersabbiano visto i loro cittadini lasciare il paese per la Siria o l’Iraq: oltre 89 trinidadiani, 200 cittadini delle Maldive e anche due studenti dal Ghana, per fare qualche esempio.

Chi va?

Dal profilo di individui di cui è noto il loro viaggio in Siria, ad esempio, oppure che si sono autoidentificati come foreign fighters, si stima che l’età media sia tra i 18 e i 29 anni, sebbene ci siano casi di quindicenni e di trentenni. Quasi tutti sono uomini, anche se un certo numero di donne, in particolare dai paesi occidentali, si sono unite ad amici o sono andate con i propri mariti oppure per conto proprio. La maggior parte dei foreign fightersarriva in Siria ed Iraq senza un addestramento militare o una precedente esperienza di combattimento, sebbene ci sia un nucleo compatto di uomini  che hanno combattuto in altri fronti. Congiuntamente all’essere nuovi della guerra, un numero significativo di questo tipo di combattenti che provengono dai paesi occidentali, sono anche nuovi dell’Islam. Circa il 6% dei foreign fighters che provengono dai paesi dell’Unione Europea si sono convertiti all’Islam.

Non è possibile tracciare un profilo univoco del tipo di persona che sceglie di aderire ad ideologie violente e che poi compia atti violenti. Semplicemente c’è troppa variabilità nella formazione, nelle esperienze pregresse, nella storia personale di ciascuno di loro.

Cosa li spinge: le motivazioni

Dapprima va precisato che non esiste una lista esaustiva di elementi chiave e ogni caso deve essere esaminato individualmente. Rispetto ad alcune motivazioni come la ricerca di identità, l’alienazione, non credo che non siano dei fattori determinanti, piuttosto ritengo che sia difficile determinare come questi siano degli elementi che giochino un ruolo fondamentale.

Un foreign fighter che cerca significato della propria vita o che vede la guerra come avventura è difficile che lo ammetta, dal momento che queste motivazioni sarebbero viste come triviali e non eroiche come altre.

Per questo è preferibile considerare le motivazioni basate su tematiche piuttosto che sugli individui. Quelle che vi propongo sono di natura generica ed usualmente possono essere riscontrate in ogni individuo che è sottoposto ad un processo di radicalizzazione violenta.

  • L’Ummah a rischio

Nell’Islam la nozione di Ummahsoddisfa il senso di comunità globale; mentre può riferirsi a nazione o stato in generale, tende ad essere associato con la nazione islamica cioè con la collettività dei musulmani nel mondo, una comunità di credenti. Anche se il concetto di ummah è astratto ed ha poca somiglianza con l’odierno sistema di governo internazionale, rappresenta l’ideale per cui i musulmani nel mondo appartengono alla stessa entità di fede e che questa trascenda le frontiere nazionali e politiche. Gli estremisti islamici vedono sé stessi come dei guerrieri dell’idealizzata ummah. Coloro che si sono uniti all’IS utilizzano il concetto di ummahcome giustificazione per combattere.

  • Hijrah e disgusto per l’occidente

L’IS dedica molto tempo a parlare dell’Hijrah (migrazione). Il gruppo estremista ha avuto successo nello sfruttare un evento accaduto moltissimi anni fa per incitare i musulmani ad abbandonare le società occidentali senza Dio e viaggiare per unirsi con la vera l’unica nazione musulmana (governata dell’IS). Il termine Hijrah si riferisce originariamente alla partenza del profeta Maometto nel 622 d.C. dalla sua casa in Mecca verso la città del nord Yathrib (più tardi chiamata Medina in onore di Maometto – Madinat al- Nabi – la città del profeta). Maometto stava scappando dai suoi nemici stanchi del suo messaggio e di come sfidasse lo status quo da cui essi traevano grandi benefici. L’anno 622 d.C. quindi è significativo per i musulmani perché segna l’anno uno del calendario musulmano e rappresenta l’inizio del consolidamento della nascente comunità islamica. Rappresenta il desiderio da parte dei sostenitori di una religione di lasciare un ambiente di peccato per stabilire una società ideale dove le loro profondecredenze potevano essere praticate apertamente ed in sicurezza. L’Occidente viene visto come senza Dio, corrotto, dove la religione è stata messa ai margini. In tutto ciò quindi la logica è che i musulmani in occidente devono lasciare quei paesi e migrare nelle terre dove si applica la legge della Sharia e dove i musulmani costituiscono la maggioranza. Dal momento che l’IS ha ristabilito il Califfato, è obbligatorio per i musulmani tornare in quelle terre, difenderlo e costruirlo.

  • Desiderio di aiutare

Il conflitto in Siria ha visto l’utilizzo di armi chimiche e l’indifferenza generale sull’uccisione indiscriminata di civili. La risposta internazionale è stata inefficace. Non desta sorpresa il fatto che il desiderio di aiutare sia spesso la prima spinta per coloro che poi alla fine diventano foreign fighters. Musulmani nella regione o in Occidente vedono quello che accade ele risposte inadeguate e sentono la necessità di aiutare i loro fratelli o sorelle musulmani. È importante notare che non tutti i foreign fighters partono con l’intento iniziale di unirsi ad un gruppo estremista come l’IS. Possono recarsi in Siria, ad esempio, per partecipare all’aiuto umanitario per poi rendersi conto che questo aiuto è insufficiente ed essere reclutati dagli estremisti. È altresì importante ricordare che alcuni individui possono citare il loro desiderio di compiere atti caritatevoli per deviare l’attenzione dei servizi di sicurezza o delle forze dell’ordine dal loro vero obiettivo.

Cosa fanno lì?

Essenzialmente sono parte del warfare, del conflitto. Molti vengono addestrati, alcuni altri svolgono dei compiti di guardia, certi altri semplicemente aspettano o vengono utilizzati per video di propaganda e reclutamento.

In conclusione, commentare l’aspetto dell “avventura” o del brivido dei combattenti dell’IS è pericoloso perché non misurabile. Le altre motivazioni lo sono e sono uniche di gruppi estremisti islamici. Ridurre la nozione di foreign fighters a volontari del brivido o dell’avventura è pericolosa oltre che falsa; più dannoso, soprattutto per la progettazione di misure di controterrorismo efficaci per i foreign fighters che tornano nei paesi di origine, è ridurre le motivazioni di questi individui a malattie mentali o a meri fervori religiosi farneticanti.