di Annarita D’Agostino

In Europa l’Italia cresce meno di tutti. “Persistono le fragilità strutturali che conosciamo” dice il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, presentando le previsioni economiche di primavera della Commissione europea che confermano l’ultima posizione per il nostro Paese, maglia nera per la crescita sia nel 2017 che nel 2018.
Nell’Eurozona il Pil salirà con “ritmo stabile” fino all’1,7% per il 2017 e all’1,8% per il 2018, e dell’1,9% nell’UE a 28 per entrambi gli anni, garantendo una “crescita salda”. Giù la disoccupazione che, nell’eurozona, dopo il calo a 9,4% del 2017, arriverà all’8,9% nel 2018, il livello più basso dal 2009; nell’Unione dei 28 scenderà all’8% e poi al 7,7% nel 2018, record decennale. Il merito va a riforme strutturali, crescita della domanda interna e altre politiche finalizzate alla promozione dell’occupazione. Ma il calo complessivo, spiega la Commissione, cela una disoccupazione che resta comunque “alta in molti Paesi”, fra i quali c’è purtroppo la nostra penisola: “Dopo una performance positiva nel 2015 e 2016 – scrive la Commissione UE -, quando l’occupazione era sostenuta da una riduzione temporanea dei contributi sociali, ci si attende che l’occupazione cresca a un passo più coerente con gli sviluppi economici del 2017 e 2018”. Neppure a Bruxelles piace l’ ‘effetto Jobs Act’ che però, per il governo italiano, è stato una risposta alla richiesta ossessiva di flessibilità proprio da parte dall’Europa. Inoltre, per la Commissione il calo della disoccupazione in Italia è stato “marginale” (quest’anno si ferma a 11,5% rispetto all’11,6% previsto lo scorso febbraio, e l’anno prossimo scenderà solo all’ 11,3%).
Secondo la Bce, a fare le spese dell’assenza di vere politiche occupazionali sono le nuove generazioni: nel bollettino economico diffuso oggi, l’Istituto di Francoforte segnala che “la disoccupazione giovanile nell’area dell’euro è ancora al di sopra dei livelli precedenti alla crisi” ed è “particolarmente alta in Grecia, Spagna e Italia, a seguito di forti aumenti registrati durante la crisi”. In aggiunta, “in Francia e in Italia le misure più ampie del sottoutilizzo di manodopera hanno seguitato ad aumentare per tutta la durata della ripresa” a differenza di altri paesi in una situazione analoga, come la Spagna, che “hanno registrato alcune recenti contrazioni”.
Con un Pil che arranca dallo 0,9% di quest’anno all’ 1,1% nel 2018, e un debito in aumento dal 132,6% al 133,1% nel 2017, passano in sordina gli impercettibili miglioramenti rispetto alle stime di febbraio e il calo del deficit al 2,2% nel 2017 e al 2,3% nel 2018 con la manovra-bis. Impossibile infatti l’alleggerimento del carico fiscale, che per Bruxelles resta “stabile” nei suoi eccessi “nonostante la riduzione della tassazione per le imprese dal 27,5% al 24%”; anzi, la Commissione rileva un “leggero deterioramento” per il deficit strutturale.
L’aumento del debito, in particolare, è “dovuto anche alle risorse aggiuntive stanziate per il sostegno pubblico al settore bancario e agli investitori retail”; “l’incertezza politica e il lento aggiustamento nel settore bancario rappresentano rischi al ribasso alle prospettive di crescita italiane” anche se, d’altro canto “l’elevata fiducia nella manifattura potrebbe implicare una domanda esterna più forte di quella data dalle previsioni”. Ma si tratta di congetture che si scontrano con una crescita troppo debole e con un sistema economico che, in particolare nel settore delle costruzioni e per le pmi, resta compresso da “costrizioni finanziarie”.
Come se non bastasse, il nostro Paese dovrà fare i conti anche con i rischi aggiuntivi che, secondo Commissione e Bce, potranno arrivare da fattori globali e investire l’intera area euro, “dalla futura politica economica e commerciale Usa e più ampie tensioni geopolitiche”, “dall’aggiustamento economico della Cina, la salute del settore bancario in Europa e gli imminenti negoziati con la Gran Bretagna” per la Brexit. In una realtà di globalizzazione senza tutele, sono eventi che intimoriscono le economie più forti e mettono a serio rischio la tenuta dei Paesi più deboli, come l’Italia.