L’Inail è stata condannata a pagare una rendita vitalizia da malattia professionale al dipendente di una azienda cui è stato diagnosticato il tumore dopo che per ben quindici anni ha usato il cellulare per più di tre ore al giorno senza protezioni.

E’ Roberto Romeo, protagonista di questa vicenda presa in esame dal Tribunale di Ivrea, sede in cui è stata emessa la sentenza storica che ha riconosciuto per la prima volta, il legame casuale tra tumore al cervello e l’uso ‘eccessivo’  durante le ore di lavoro di un telefono cellulare.

Secondo il professor Angelo Levis nella consulenza prestata in tribunale “sulla base dei criteri elencati nel preambolo delle monografie della Iarc, le emissioni a Rf/Mo dei telefoni mobili (cellulari e cordless) dovrebbero essere classificate nel gruppo 1 dei sicuri cancerogeni per l’uomo”.

«É la prima volta nel mondo che un tribunale, già in primo grado, afferma l’esistenza di un nesso di causalità tra tumore e uso del telefonino. E’ una sentenza storica», afferma l’avvocato Stefano Bertone dello studio legale Ambrosio e Commodo, che ha assistito il lavoratore. Renato Ambrosio, socio principale dell’omonimo studio torinese, ricorda: «Quattro anni fa abbiamo ricorso contro lo Stato italiano, al Tar di Roma, chiedendo al governo di informare i cittadini sui rischi e potenziali danni che derivano dall’utilizzo dei cellulari. Stiamo ancora aspettando una risposta». I legali stanno scrivendo, insieme ad alcun parlamentari, una proposta di legge che impegni il governo a educare la cittadinanza sull’argomento.

E’ stato lo stesso Romeo a spiegare il suo calvario  “ho iniziato a usare il telefonino nel 1995 sul lavoro, perché l’azienda ci chiedeva di comunicare con i nostri tecnici così. Ho parlato al cellulare per quattro ore al giorno, quotidianamente, per quindici anni. Poi, a dicembre del 2010, mi sono accorto di sentire più da un orecchio. L’otorino mi disse che si trattava di un tappo, ma non era così. Dalla risonanza si vide che era un tumore benigno, un neurinoma. Era molto grosso e occupava buona parte del cervello, così sono stato operato. Mi hanno dovuto, a causa delle dimensioni – puntualizza il dipendente – asportare il nervo acustico. Oggi non sento più dall’orecchio destro, ho una specie di paralisi vicino alla bocca. In sala operatoria ho anche contratto la meningite, alla fine la convalescenza è stata molto lunga. Vivo non esattamente come prima, non posso prendere freddo né troppo sole e non riesco a chiudere bene un occhio, oltre a non sentire più come prima».