Il cuneo fiscale in Italia è sopra di dieci punti rispetto alla media europea. Secondo il rapporto della Corte dei Conti la differenza fra il costo del lavoro a carico dell’imprenditore e il reddito netto che rimane in busta paga al lavoratore è davvero elevata: il 49% prelevato a titolo di contributi (su entrambi) e di imposte (a carico del lavoratore).
La Corte dei Conti parla di “limiti e dispersioni” del sistema fiscale italiano. I magistrati contabili evidenziano l’esigenza di ridurre la pressione fiscale sottolineando che “un’esposizione tributaria tanto marcata non aiuta il contrasto all’economia sommersa e la lotta all’evasione”.
Per quanto riguarda la ripresa economica la Corte sottolinea che “nonostante le incertezze iniziali, l’andamento dell’economia italiana sembra aver segnato un’inversione di marcia verso un’espansione meno fragile e più qualitativa”. Il Pil nel 2016 è aumentato dello 0,9%, a fronte di un negativo e non anticipato contributo delle scorte e di un andamento superiore alle attese negli investimenti, +2,9%, sia in costruzioni che in macchinari e attrezzature: nel primo caso si e’ finalmente usciti da una fase di recessione protrattasi per otto anni; nel secondo si ha un’evidenza di una ripresa del processo di accumulazione non prevista.
Il sentiero del risanamento finanziario per l’Italia “è reso più faticoso” da una dinamica del prodotto interno lordo meno pronunciata degli altri Paesi dell’area euro. Ma “considerando il maggior livello del debito” questo sentiero è “necessario” si legge nella relazione.
“Nella prospettiva storica e nel confronto con gli altri Paesi europei, lo sforzo di risanamento finanziario perseguito dall’Italia, reso necessario da un livello del debito elevato, prosegue o si attenua? Guardando al periodo intercorso dalla decisione di aderire alla moneta unica ad oggi – spiega il rapporto – il saldo primario rimane sempre positivo, ma si riduce progressivamente”.
“La riduzione degli oneri per interessi – continua il documento – ne compensa gli effetti sull’indebitamento, che rimane in prossimità del 3% del prodotto, la soglia fissata nel Trattato di Maastricht”. “Nel contesto di bassa crescita che ha caratterizzato gli anni più recenti e di un’inflazione ben al di sotto degli obiettivi delle Autorità monetarie, livelli del saldo primario più contenuti, uniti ad un costo medio che si mantiene comunque vicino al 3%, generano un ulteriore aumento del debito che, a fine 2016, arriva al 132,6% del Pil”, continua il rapporto.
Nelle ultime manovre, secondo il rapporto, il Governo ha previsto un “rilevante contributo dalle misure di contrasto all’evasione”. Tuttavia “le difficoltà di verifica in sede di consuntivo inducono cautela nell’utilizzare tali proventi, per loro natura incerti, per finanziare maggiori spese o riduzioni di entrata certe”.
La Corte dei Conti rileva inoltre che “il contributo delle dismissioni, certamente necessario, potrà difficilmente risultare determinante nel breve-medio periodo. E d’altra parte in un contesto di crescita moderata, riduzioni rapide del debito potrebbero essere eccessivamente costose”. Secondo il rapporto, “occorre quindi porre il debito su un sentiero discendente, non troppo ripido ma costante, procedendo speditamente alle azioni di riforme strutturali per sostenere la crescita e migliorare, anche sotto questo profilo, le condizioni di sostenibilità della finanza pubblica”.
Nel 2016, ha detto il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan “la crescita ha ripreso vigore e i primi segnali dell’anno in corso sono incoraggianti”. “Siamo in una fase di transizione verso una crescita più robusta e sostenuta grazie ai significativi progressi in termini di riforme strutturali”, ha aggiunto. Secondo il presidente del Senato Pietro Grasso “occorre proseguire con molta determinazione sulla via dell’equilibrio dei conti pubblici, attraverso forme di intelligente razionalizzazione della spesa pubblica”.