Ricco o povero che sia, lo studente italiano tra i banchi di scuola non percepisce alcuna differenza:  l’istituzione funziona, almeno per i meno abbienti che finiscono per aver voti uguali a chi arriva da famiglie laureate o benestanti .

A confermarlo è l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) attraverso un’indagine estesa su una quarantina di paesi dei cinque continenti. Ovviamente una volta terminato il percorso scolastico le differenze sociali pesano. Non basta competenza, impegno e, quindi, meritocrazia.

E’ Francesca Borgonovi, ricercatrice dell’Ocse che ha partecipato alla stesura del focus, a precisare: “Dallo studio emerge in modo abbastanza chiaro il fatto che, dato l’allungamento della vita lavorativa e della fine della sicurezza di percorsi lineari della vita lavorativa, le competenze e soprattutto lo sviluppo delle competenze lungo la propria vita siano importantissime. Tuttavia, il mondo del lavoro, la formazione professionale e l’università – conclude l’esperta Ocse – non sono in grado di alleviare le differenze tra classi sociali che emergono alla fine della scuola dell’obbligo anzi tendono a rinforzarle”.

Insomma, fin quando gli studenti frequentano la scuola il divario si mantiene entro livelli relativamente bassi. Ma a 27 anni, sempre secondo la ricerca, in Italia il divario si amplifica anche oltre la media Ocse: 0,67, in Italia, e 0,61 a livello internazionale. Confermando che nel Belpaese la scuola riesce ad attenuare le differenze socio-economiche di partenza.