di Nazzareno Mollicone

Proprio alla vigilia della riunione dei capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, insieme ad invitati di altri Paesi (tra i quali gli immancabili Stati Uniti), sono stati pubblicati (dal supplemento “L’Economia” del “Corriere della Sera”) i dati, di fonte “OCSE” e Fondo Monetario Internazionale, sulla ricchezza dei popoli prima e dopo l’entrata in vigore della moneta unica “Euro” relativa ai principali Paesi europei.

Diciamo subito che questa graduatoria è del tutto negativa per quanto riguarda l’Italia. Infatti, come era facilmente prevedibile, al primo posto si colloca la Germania che non solo registra un incremento del 22% del prodotto interno lordo pro-capite ma è anche la prima in Europa con 34.000 euro. Al secondo posto, in termini di incrementi percentuali, si colloca la Spagna con il 15% di aumento del 15% ed un importo di 23.755 euro; segue la Francia con un incremento del 12% ed un importo di 32.650 euro.

L’Italia arriva ultima in questa graduatoria registrando addirittura un decremento del 3% rispetto al p.i.l. pro-capite iniziale, attestandosi a 25.543 euro, nettamente distanziata in questo dato numerico dai Paesi guida, ossia Germania e Francia. Da rilevare che il calo più rilevante è avvenuto dal 2008, quando il p.i.l. si attestava a 28.4623 euro pro-capite.

Gli analisti sostengono che questo dato deriva dalla minore produttività italiana rispetto agli altri Paesi, ossia che si lavorerebbe di meno e le aziende sarebbero meno innovative. Tuttavia, queste osservazioni – che sembrerebbero rivolte ai lavoratori ed agli imprenditori italiani – in realtà confermano indirettamente la critica alla gestione politica ed economica degli ultimi anni. Infatti, qui non si tratta del lavoro individuale, bensì di quello collettivo che contribuisce a formare il prodotto interno lordo nazionale che poi, diviso per il numero degli abitanti, da quello cosiddetto “pro-capite”.

Però, se in un Paese – come è l’Italia – la disoccupazione resta alta; se gran parte dei lavoratori svolgono attività a scarsa incidenza produttiva (nel terziario, ad esempio) e precario, ossia intermittente; se gli stessi lavoratori debbono cambiare continuamente attività per sopravvivere e quindi non possono mai acquisire esperienze e formazione professionale duratura; se le aziende non possono investire nelle innovazioni perché oppresse dal carico fiscale e dalla mancanza di credito finanziario; se altre aziende trasferiscono all’estero le loro produzioni lasciando in Italia solo attività di servizio e commerciali; se le risorse finanziarie dello Stato vengono sperperate come i famosi “bonus” di 80 euro e l’esenzione contributiva (trenta miliardi in tre anni!) anziché investire nelle imprese ad alto contenuto tecnologico e produttivo; se si lasciano andare in rovina le infrastrutture e gli assetti territoriali, come è possibile incrementare la produttività nazionale e quindi quello pro-capite?

Tutto ciò va ricordato alla vigilia della riunione di Roma per ricordare i 60 anni della fondazione dell’Unione Europea: riunione che, come è stato già scritto su “La Meta Sociale”, non sarà certamente trionfale e festosa ma dovrà svolgersi in una città in stato d’assedio e protetta da migliaia di poliziotti. Evidentemente, non ci sono entusiasmi per la politica nazionale ed europea, ed i risultati sopra esposti lo indicano a sufficienza.