di Annarita D’Agostino

I Paesi del Sud Europa “spendono tutti i soldi per alcool e donne e poi chiedono aiuto”: a pochi giorni dall’anniversario dei 60 anni dei Trattati di Roma, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, scatena la bufera con un commento che non merita neppure la paternità dell’ “Europeo qualunque”. E pensare che, solo poche ore prima, l’Europa sembrava aver ritrovato unità sulla bozza di dichiarazione solenne che i 27 capi di Stato e di governo degli Stati membri dovranno sottoscrivere in Campidoglio sabato 25 marzo: superando il muro degli Stati dell’Est, si sdogana l’idea di un’Europa a più velocità, che – si spera – non significhi Stati di serie A e serie B ma integrazione nella diversità.
Nonostante le parole di Dijsselbloem nascano per dividere, alla fine riescono ad unire destre, centri e sinistre della politica italiana ed europea, con una condanna unanime per la mancanza di diplomazia del leader dell’Eurogruppo, che rifiuta pure le scuse. Solo Wolfgang Schaeuble, ministro delle Finanze tedesco, prova una difesa disperata dichiarando che “apprezza il lavoro di Jeroen Dajsselbloem” e conta “sul fatto che l’eurogruppo sia ancora pienamente funzionante per il resto della legislatura”.
Mentre si moltiplicano le richieste di dimissioni, anche le istituzioni comunitarie prendono le distanze: il presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, fa sapere che “ha sempre espresso il suo rispetto, la sua simpatia e il suo amore per il Sud Europa”, sottolineando come “ognuno sia responsabile delle sue parole” e “non commentiamo sui commenti”. “Penso che sia sbagliato e io non lo avrei detto” ha detto Margarethe Vestager, commissaria alla Concorrenza. Romano Prodi ci scherza su: “ho percepito un grande senso di invidia”. D’altra parte, con la sconfitta alle recenti elezioni in Olanda e un futuro politico già incerto, per Dijsselbloem non è stata una buona ‘annata’.