di Cecilia Pocai

Era il 4 ottobre 2016 e la Casa Bianca si preparava alla visita di Stato di Matteo Renzi, quella che sarebbe stata poi l’ultima cena ufficiale di Obama. In quell’occasione l’ambasciatore americano a Roma, John Phillips inviò al segretario di stato John Kerry un documento, all’epoca classificato come segreto. Un report duro sul nostro Paese e che descrive un futuro tutt’altro che roseo: “Di questo passo, l`economia italiana non tornerà ai livelli pre crisi almeno fino al 2025”.
Il documento, intitolato “Italy: Scenesetter for the Official Visit of PM Matteo Renzi, October 18″ è stato diffusa oggi da La Stampa.
L’ambasciatore Phillips, in un momento in cui il nostro Paese si divideva sul referendum sulla riforma costituzionale, spiegava al governo americano: “l’approvazione restituirebbe anche all`esecutivo la competenza esclusiva per le grandi infrastrutture, l`energia e altri progetti di sviluppo di interesse nazionale” limitando la burocrazia che “complica i tentativi dell`Italia di attirare investimenti stranieri e aggiornare la rete delle infrastrutture”. Dietro la scelta americana c’erano anche ragioni economiche: “Questa riforma dovrebbe sbloccare progetti critici che l’opposizione regionale ha ritardato per anni, come la Trans Adriatic Pipeline e la diffusione nazionale dell’high speed broadband (la banda larga, ndr)”.
Ma c’è ancora di più.  Al di là di quale sarebbe stata la scelta del popolo italiano al referendum, ciò che più preoccupava, stando a quanto scriveva l’ambasciatore e riportato dal quotidiano torinese, era la questione economica. “L’Italia è emersa da tre anni di recessione nel primo trimestre del 2015 ma il Pil rimane oltre nove punti sotto il suo picco pre crisi, e resta ben al di sotto della media europea. Il 27 settembre il governo ha abbassato l’obiettivo di crescita, a causa del significativo apprezzamento dell’euro, la continua assenza di inflazione e l’incertezza globale seguita alla Brexit. Come lascito della crisi finanziaria, Roma ha aumentato il debito pubblico a 2,1 trilioni di euro, cioè il 132% del Pil, un livello secondo solo alla Grecia”. Preoccupazione dovuta al fatto che “la capacità fiscale dell’Italia resterà severamente limitata per decenni, incluse nuove spese per la difesa”.
Anche per gli investimenti la situazione non è certo migliore. Phillips parla di un “clima difficile per la burocrazia ingombrante e un sistema sclerotico della giustizia civile. Renzi ha fatto progressi nell’attuare riforme strutturali e misure per stimolare la crescita, ma l’applicazione è a macchia e molto resta ancora da fare”. C’è poi il capitolo banche: “sono particolarmente vulnerabili agli shock esterni, perché i loro bilanci sono appesantiti da prestiti non performanti che costituiscono il 17% del totale”, sebbene “non ci sono segni di una corsa agli sportelli o crisi di liquidità. Il sistema bancario rimane solido e, con l’eccezione del Monte dei Paschi di Siena, ha fatto meglio di quanto ci si aspettasse negli “stress test” europei”. Per l’ambasciatore, però, resta la difficoltà: “Ci vorranno anni, e un solido ritorno alla crescita, affinché le banche italiane si ottimizzino”.